Titti Beneduce per www.corriere.it, 28 aprile 2022
“LO ABBIAMO TRASPORTATO IN MOTORINO, NON GLI DAVAMO IMPORTANZA A QUEL COSO” – L’INCREDIBILE STORIA DIETRO AL FURTO DALLA BASILICA DI SAN DOMENICO MAGGIORE A NAPOLI DEL SALVATOR MUNDI, L’OLIO SU TELA COPIA DEL QUADRO DI LEONARDO: L’OPERA È STATA RITROVATA, MA LA PROCURA HA BACCHETTATO LA CURIA VISTO CHE RUBARLO È STATO FACILISSIMO. LE CHIAVI DI ACCESSO ERANO IN MANO A UNA MOLTITUDINE DI PERSONE COSÌ COME QUELLE DELLA CASSAFORTE. IL DIPINTO È FINITO ALLA CAMORRA ED È STATO TROVATO GRAZIE ALLE MICROSPIE A CASA DI MARIA LICCIARDI… -
Per il furto dalla basilica di San Domenico Maggiore del Salvator Mundi, l’olio su tela copia di un celeberrimo quadro di Leonardo venduto all’asta per 450 milioni di dollari, la Procura bacchetta la Curia: «La sottrazione del dipinto è stata un’operazione estremamente elementare, che non ha richiesto particolari abilità a causa dell’assoluta inadeguatezza delle misure di protezione e della mancanza di qualsivoglia cautela volta a preservare l’integrità del prezioso patrimonio artistico contenuto all’interno della basilica.
È stata accertata la mancanza di un idoneo sistema di allarme antintrusione all’interno degli ambienti del complesso monumentale ed in particolare del vano in cui era custodito il dipinto. È inoltre emerso che le chiavi di accesso alla chiesa ed al museo erano in possesso di una pluralità di persone, così come la combinazione della cassaforte in cui era custodita la chiave di apertura della porta della Sala del Tesoro». Lo scrivono, nel decreto di fermo notificato martedì a sei persone, i pm Giusy Loreto, Celeste Carrano e Antonella Serio, che di lì a poco precisano: la legge del 1985, istituita dopo i nuovi accordi concordatari tra Stato e Chiesa, affidava «la manutenzione, la conservazione e la tutela del patrimonio ecclesiastico» al Fondo edifici di culto (Fec).
Le microspie in casa di Maria Licciardi Ma «il furto è stato agevolmente commesso per essere venuti meno, tanto gli organi del Fec quanto quelli ecclesiastici, alle proprie fondamentali funzioni di conservazione e tutela delle opere d’arte conservate nella basilica». Il priore della basilica non si era neppure accorto del furto: fu informato dal capo della squadra Mobile, Alfredo Fabbrocini, che nel gennaio del 2021 ritrovò il dipinto a Ponticelli, in casa di un incensurato.
Grazie all’incuria è stato dunque possibile che, con la complicità di un dipendente della basilica, Pasquale Ferrigno, «operatore storico dell’arte», il quadro fosse rubato, spostato in motorino da una parte all’altra della città, nascosto in via Nuova delle Brecce e addirittura offerto a Maria Licciardi, capo dell’omonimo clan camorristico, che all’epoca era latitante (sarebbe stata arrestata l’agosto successivo). Le intercettazioni ambientali dei carabinieri del Ros che indagavano sulla Licciardi, guidati dal colonnello Andrea Manti, hanno fornito, come sottolineano i pm nel decreto, un formidabile strumento per ricostruire le vicissitudini del dipinto.
Il trasporto Il 13 gennaio del 2021, alla vigilia del ritrovamento, Antonio Mauro, uno dei fermati, va a trovare Maria Licciardi nella casa in cui si nasconde. È agitatissimo: «Ti voglio fare una imbasciata. Enzo mio cognato (Vincenzo Esposito, altro fermato, ndr) gli sono andati a portare un buon quadro! Il custode glielo ha dato! È stimato assai! Hanno cercato a due o tre di loro per vedere il miglior offerente. Ha detto Enzo: vedi se la zia (così è chiamata Maria Licciardi, ndr) teniamo qualcuno importante che si compra i quadri antichi. Vale da due ai cinque milioni di euro».
Maria Licciardi è perplessa: «Ci vuole uno appassionato proprio... Qua non stiamo a questa portata». Il problema è che Ferrigno scalpita: vuole subito 200.000 euro. Inoltre c’è il rischio che i musei riaprano e il furto venga scoperto. Il 18 gennaio la tela viene recuperata. Il 29 gennaio Antonio Mauro torna da Maria Licciardi; le esterna il suo rammarico: troppo tardi era stato individuato un buon compratore in Svizzera. E rivela: «L’ho tenuto a casa, però, feci io, già sono venuti due di loro a vederlo: mo cambio posto. Ce lo portammo sopra al motorino quel coso, lo mettemmo in mezzo al SH, perché non gli davamo manco valore».