La Stampa, 28 aprile 2022
Una nuova testimonianza contro Davigo
Come in un legal thriller, nel processo a Piercamillo Davigo spunta un testimone a sorpresa. Anzi due. Giuseppe Severini e Sergio Santoro, alti giudici del Consiglio di Stato da poco in pensione. E, si scopre ora, commensali di Davigo in cene romane con rilevanza giudiziaria.
«I testimoni 22 e 23 della nostra lista sono particolarmente importanti», ha detto nella prima udienza Fabio Repici, avvocato del consigliere del Csm Sebastiano Ardita, che si è costituito parte civile. Si proclama vittima della rivelazione di segreto istruttorio, contestata a Davigo per aver divulgato i verbali sulla fantomatica loggia paramassonica Ungheria nel Csm, dopo averli ricevuti dal pm milanese Storari. In quei verbali l’avvocato Piero Amara indicava Ardita nella quarantina di affiliati alla loggia.
Davigo ne trasse motivo per interrompere i rapporti con Ardita, suo compagno di corrente e vicino di stanza al Csm, e mettere in guardia altri sette consiglieri, due assistenti e il presidente della commissione parlamentare antimafia Nicola Morra.
L’avvocato di Ardita punta a dimostrare che Davigo utilizzò i verbali non per senso istituzionale, ma «per screditarlo e condizionare il Csm». Per farlo deve smontare la tesi di Davigo, «che ha giustificato il suo comportamento dicendo che aver appreso il contenuto dei verbali comportava la necessità di indurre i consiglieri del Csm a prendere le distanze da Ardita».
E qui spuntano i due nuovi testimoni. L’ex giudice Severini ha raccontato di aver «incontrato Davigo nel corso di due cene a casa del collega Santoro, con cui credo avesse un rapporto pregresso». Cene tra magistrati prossimi alla pensione. Infatti «Santoro organizzò queste cene perché aveva interesse a sondare l’atteggiamento anche di altri colleghi circa la possibilità che venisse modificata l’età pensionabile dei magistrati, riportandola a 72 anni. Sapeva che io condividevo questa posizione e mi invitò quando ritenne di parlare della questione con un magistrato ordinario importante come Davigo. In una delle due cene era presente anche Federico Cafiero De Raho (allora procuratore nazionale antimafia, oggi in pensione) con cui io e Santoro avevamo in più occasioni parlato del tema, recandoci nel suo ufficio. Mi pare che alle cene sia stata presente anche un’avvocata amica di Davigo».
Severini ricorda che Davigo «non era contrario» all’innalzamento dell’età pensionabile «ma precisò di non essere direttamente interessato» perché convinto di restare in carica al Csm fino a 72 anni. Certezza mal risposta, perché nell’ottobre 2020 il Csm deciderà diversamente.
Al di là del lobbismo pensionistico le cene rilevano perché Severini le colloca «la prima nell’ottobre 2019, la seconda molti mesi dopo, nel 2020». Al tempo della prima cena, il giudice Santoro era notoriamente indagato dalla Procura di Roma per corruzione giudiziaria, nell’inchiesta sul Consiglio di Stato alimentata dallo stesso Amara.
La sua posizione è stata archiviata successivamente.
La seconda cena, in assenza di una data precisa, presumibilmente si collocherebbe dopo il lockdown, quando Davigo torna a Roma con i verbali sulla loggia Ungheria, in cui Santoro è citato in modo più diffuso e specifico di Ardita. Prima come «associato e membro alla loggia Ungheria», poi perché sponsorizzato da Lotti e Verdini, «i quali volevano che diventasse presidente della sezione del Consiglio di Stato che si occupava dei ricorsi Consip. E così avvenne».
Il commensale Severini (mai citato, lui, nei verbali di Amara) ricorda «rapporti cordiali tra Davigo e Santoro» e nega accenni alla vicenda Ungheria. Il tribunale ha ammesso le testimonianze per ricostruire le cene e verificare se «Davigo mostrò mai imbarazzo o distacco».
Vero o no ciò che dice Amara, la domanda che Davigo si vedrà porre in aula è un’altra: perché gli credeva di giorno, al punto da mettere in allarme mezzo Csm su Ardita, ma non di sera, quando continuava a frequentare la casa di Santoro, pur additato come membro della stessa loggia segreta ed eversiva?