la Repubblica, 28 aprile 2022
Così trasmette la radio della resistenza ucraina
Parole e musica sono le armi che hanno scelto. Le uniche che avessero già impugnato. Fedeli ad un lavoro che da anni li vedeva impegnati tra programmi rock e quiz di canzoni, Bogdan Bolkhovetsky e Roman Davydov hanno trovato un modo per servire l’Ucraina senza dover per forza imbracciare un fucile. Hanno trasformato Radio Kraina fm, una delle più diffuse emittenti commerciali del Paese, in una stazione di servizio. Ogni giorno trasmettono bollettini di guerra e aggiornamenti sui profughi. All’inizio parlavano solo dell’avanzata russa, ma poi hanno iniziato a fare annunci per reperire risorse e aiuti umanitari; a trasmettere favole per bambini e consigli dello psicologo per aiutare i più piccoli. Hanno persino ripreso il tono ludico e scanzonato di sempre: fanno umorismo sui russi e declamano poesie patriottiche. Così Radio resistenza nazionale ucraina (il nuovo nome) aiuta esercito e popolazione a tenerne desto lo spirito, ispirandosi al film “Good morning Vietnam” dove, in un’indimenticabile interpretazione, Robin Williams tiene alto il morale dei soldati al fronte attraverso la radio.
In fuga nei primi giorni dopo l’attacco russo, Bolkhovetsky e Davydov, rispettivamente ceo e direttore dei programmi della stazione di Kiev, stavano trasferendo le famiglie dalla capitale, dove risiedono, oltre il confine polacco. Bloccati dall’esercito che notificava loro l’impossibilità di lasciare il Paese per la legge marziale che impone agli uomini di arruolarsi, hanno “contrattato” di potersi rendere utili alla causa continuando il loro lavoro di informazione. Si sono rifugiati in un piccolo paese di montagna sul lato ucraino dei Carpazi (il cui nome chiedono che rimanga segreto per sicurezza) ed hanno attrezzato una stazione di fortuna.
«Una signora molto gentile – racconta Bogdan – ci ha messo a disposizione un piccolo spazio nel suo cottage. Abbiamo una stanza interamente in legno con due tavoli. Avevamo con noi due microfoni e poi, grazie agli amici di una radio partner di Vienna, abbiamo ricevuto un mixer e due computer con cui riusciamo a trasmettere».
Dopo il bombardamento della torre della Tv, da Kiev era impossibile collegarsi. I dipendenti della radio sono fuggiti in diverse città e solo in tre hanno continuato a trasmettere. Ma anche ora che la regione della capitale è stata liberata, non possono tornare: «Ci sono 8 o 9 allarmi aerei al giorno in città e devi scendere nei rifugi – continua Bolkhovetsky —. La radio non è come un negozio che lo chiudi e vai via, devi continuare a trasmettere. Dunque restiamo qui».
Spesso però i problemi ci sono anche nella sede di fortuna e Davydov e Bolkhovetsky sono costretti a registrare durante i bombardamenti, cercando di attutire il più possibile i suoni esterni avvolgendo testa e microfono in panni o coperte. «La connessione internet è pessima e dobbiamo usare il telefono – prosegue Davydov —. Abbiamo molte richieste da parte dell’esercito e fondamentalmente trasmettiamo annunci di ciò che serve, come tutti in Ucraina, cerchiamo di dare un supporto».
L’esercito ha bisogno di una stampante? Dopo l’annuncio via radio ne riceve tre. Servono cannocchiali? Ne arriva una fornitura. Occorrono dei laptop? Sono disponibili il giorno dopo. Si fa appello per le necessità più urgenti. Ma il sostegno è soprattutto al morale della popolazione: «La nostra voce riesce ad arrivare nei rifugi – racconta Bogdan —. Nelle città non c’erano bunker perché non avremmo mai pensato che ci saremmo trovati in guerra. I nostri rifugi non sono molto profondi, alle volte sono al piano terra dei palazzi. Trasmettiamo musica e la gente, per vincere la paura, canta con la radio durante gli allarmi aerei o i bombardamenti. Gli ucraini apprezzano quello che facciamo».
Insomma, si torna alla vecchia tecnologia per supplire al danneggiamento e alla distruzione che, oltre 60 giorni di guerra, hanno portato alle infrastrutture del Paese. Radio Kraina fm aveva circa un milione di ascoltatori prima della guerra, anche se ora è difficile quantificare. «Trasmettevamo in 28 città del Paese – dice con orgoglio Bogdan – ora sono rimaste 24. Certo, non arriviamo più a Mariupol dopo la presa dell’esercito russo. Ma speriamo di riportare lì presto la nostra voce».