Il Messaggero, 28 aprile 2022
Intervista a Valeria Bruni Tedeschi
Al Festival di Cannes (17-28 maggio) inseguirà la Palma d’oro con Les Amandiers, il suo sesto film da regista: «Ho paura, le cose belle mi spaventano sempre». A 57 anni, ha smesso di temere l’età: «Ho scoperto che la vecchiaia rende più liberi e leggeri, la chirurgia estetica è una menzogna». E rivela: «Paolo Sorrentino mi sottopose a un provino per fare Veronica Lario nel film Loro, ma mi scartò perché non ero giusta per il ruolo. Nessuna amarezza, l’audizione mi ha permesso comunque di lavorare con lui».
Sincera, impetuosa, profonda e al tempo stesso leggera, Valeria Bruni Tedeschi da oggi è nelle sale con Gli amori di Anaïs, convincente opera prima di Charline Bourgeois-Tacquet, nella parte di una scrittrice ultracinquantenne che vive una storia d’amore con una trentenne (Anaïs Demoustier) già amante del marito di lei. La frenesia della giovinezza contro il disincanto della maturità, l’irruenza di una ragazza che vive alla giornata nel segno della passione a confronto con il realismo di un’intellettuale borghese pronta a rinunciare all’amore per non esserne destabilizzata: negli occhi azzurri e magnetici di Valeria, nella sua recitazione questa volta lontana da qualunque nevrosi, passano emozioni, seduzioni, sentimenti.
Perché ha girato questo film?
«Come sempre, nelle mie scelte, è decisivo l’incontro con il regista. Di Charline mi hanno sedotta la leggerezza e l’umorismo. Gli amori di Anaïs è un film con il sorriso».
Come ha affrontato le scene di intimità?
«Come qualunque altra. Tutte le scene sono intime, anche quelle a base di dialoghi».
Come mai nella versione italiana è stata doppiata?
«Quando avrei dovuto registrare ero impegnata a montare il mio film. L’attrice che mi ha dato la voce è stata bravissima, ma non potermi doppiare mi ha causato un dolore da piangere, una vergogna. È come se non avessi finito il lavoro, non ci sono abituata».
Essere considerata un’attrice intellettuale l’ha aiutata a interpretare una scrittrice?
«Credo di sì. Adoro i libri, soprattutto quelli di Natalia Ginzburg, e continuo a leggerli sulla carta. La letteratura è la mia prima fonte di ispirazione».
Di cosa parla Les Amandiers (i mandorli)?
«È un omaggio a Patrice Chéreau e alla sua scuola teatrale che frequentai da giovane. È stato un collega, il regista Thierry de Peretti, a suggerirmi di raccontare i miei ricordi, le fondamenta del mio mestiere: non poteva farmi un regalo più bello, girare il film è stato molto vitale».
Interpreta anche un ruolo?
«No, protagonisti sono due giovanissimi attori (Baptiste Carrion-Weiss e Alexia Chardard) che seguono i corsi di recitazione e si amano negli Anni Ottanta segnati da una grande energia ma anche dall’oscurità: droga, Aids, morte».
Cosa le ha insegnato Chéreau, mancato nel 2013?
«A lavorare senza risparmio, mi sento infatti un’attrice-falegname. E a puntare sulla vergogna».
Che significa?
«Portare in scena tutto quello che nella vita tendiamo a nascondere: difetti, stupidità, ridicolo».
Tre sole donne in gara a Cannes: servirebbero le quote?
«No, nel cinema sarebbero umilianti: le registe sono ormai abbastanza e io personalmente non credo di aver incontrato più difficoltà di un uomo. In politica e in altri mestieri le quote rosa aiutano invece a superare la disparità».
Che età sente di avere?
«Vent’anni, per questo non mi guardo allo specchio».
Vive a Parigi dall’infanzia, è ormai francese?
«No, sono e mi sento italiana anche se ho due passaporti».
Lei, di sinistra e cognata di Nicolas Sarkozy, si aspettava la rielezione di Emmanuel Macron?
«Fino all’ultimo siamo stati col fiato in sospeso per paura che vincesse Marine Le Pen. L’abbiamo scampata bella».
Cosa sogna?
«Di lavorare con Nanni Moretti. Al centro dei suoi film c’è la questione morale. Anche se non mi sento alla sua altezza, è cruciale anche per me».