Il Messaggero, 28 aprile 2022
Roma raccontata da Rutelli
Francesco Rutelli nei panni di una straordinaria guida storico-archeologica-turistica (e futuristica) di Roma è una primizia assoluta. Chi non vorrebbe girare con lui per lungo e per largo, di sopra e di sotto, tra templi e tabernae, mosaici e anfratti, iscrizioni e cupole, i 2800 anni di questa città senza farsi soggiogare dal mito ma entrandoci dentro con gusto e sapienza grazie al cicerone Francesco? La storia è futuro e Rutelli, nei 18 itinerari di Roma, camminando (Laterza), ci introduce nelle stratificazioni della Capitale che è eterna proprio perché è mutevole e cangiante, fatta di distruzioni e di ricostruzioni, di macerie che rinascono in altre forme, di eliminazioni e di moltiplicazioni e non c’è nulla di più imbrigliabile, e affascinante, della trasformazione continua che produce grandezza e infinita proiezione. Preparate polpacci, occhi e cervello e seguitemi: questo l’invito rutelliano.
LA MISCELA
E si parte leggendo (ma è come se le ascoltassimo: e urge il podcast) tra spiegazioni colte e approccio pop in una miscela di storie, scienze, cibo, tecnologia, cinema, letteratura, arti e religioni anche magiche. La tappa iniziale è la Casa dei Crescenzi (itinerario 1, lungo il Tevere fino all’Isola Tiberina, lunghezza 2 km, tempo di percorrenza 2 ore e mezza). «Eccoci – scrive Rutelli – a un primo esempio delle reinvenzioni romane: un edificio costruito con elementi vecchi di circa un millennio, che a sua volta ispira una nuova architettura dopo un intervallo di altri 6-700 anni». Pezzi di architetture bizzarramente ricomposti, e arbitrariamente accostati, un patchwork e un work in progress vero e proprio: ma Roma non è proprio così, un grande caos meraviglioso che si fa armonia e ordine, inclusivo e espansivo, e questo l’ha resa caput mundi? È stato edificio patrizio la Casa dei Crescenzi, poi abbandonato, successivamente usato come stalla, infine riscattato dal governo pontificio e acquisito dal Comune di Roma (ospita oggi il Centro di studi per la storia dell’architettura). Se invece cercate Nerone, non andatelo a cercare alla Tomba di Nerone: «Quella tomba non esiste!», esclama Rutelli. E aggiunge: «Il manufatto del III secolo che porta questo nome non è il sepolcro di Nerone ma di Publio Vibio Mariano, che fu procuratore della Sardegna». E di Nerone, che pure è stato storiograficamente rivalutato, non c’è la tomba e neppure una strada a suo nome. Però si può andare a Anzio a vedere la statua di bronzo che gli è stata dedicata per onorarlo come concittadino nato nella villa imperiale (dove pure era nato Caligola, anch’egli ignorato a Roma).
IL MERCANTE
Stupore a ogni passo. Per esempio la tomba a Veio intitolata al marchese ottocentesco Giampietro Campana, spregiudicato mercante d’arte, è quasi inedita. Quel filibustiere creò una messinscena: annunciò di avere scoperto una tomba etrusca ma in realtà l’aveva fatta scavare lui e l’aveva riempita di tesori antichissimi presi di qua e di là. Il tutto per accrescere la sua gloria: o la sua cattiva fama visto che questo personaggio romanzesco, direttore del Monte di Pietà e gran collezionista (oltre che tra i finanziatori del colpo di Stato di Napoleone III), nel 1857 sarebbe stato arrestato per intrallazzi, processato a Palazzo Montecitorio (allora sede del tribunale), rinchiuso nel carcere di San Michele a Ripa, spogliato della sua formidabile collezione. Che andò a riempire il Louvre, l’Ermitage e altri musei. Gli appartenevano, tra i tanti tesori, la Vergine con Bambino del Botticelli e persino due falangi del dito della statua bronzea di Costantino ricongiunte nel 2021 alla mano che si trova nei Musei Capitolini. Se poi dall’Insugherata-Veio ci si sposta in tutt’altra parte, si può andare per mosaici tra l’Esquilino e il Celio calpestando i luoghi di Mecenate o pensando che i problemi di degrado attuale erano anche peggiori al tempo di Orazio. Allora l’Esquilino era un cimitero a cielo aperto, accumulo di cadaveri e ossa. E ancora: itinerario 15 tra Porta San Paolo e San Paolo fuori le Mura (lunghezza 2,5 km, tempo di percorrenza 3 ore e sempre a piedi che sono il mezzo perfetto com’era chiaro anche a Jean-Jacques Rousseau: «Non riesco a meditare se non camminando. Appena mi fermo, non penso più». Qui, a proposito di costruzioni e ricostruzioni, la basilica di San Paolo è stato nei secoli un cantiere senza sosta, fino all’incendio che la distrusse. Ma a Roma tutto si ricrea e nulla si distrugge veramente e quindi pure questa basilica eccola qui, fatta e rifatta.
LA PATRIA
E ancora. Il Colosseo, che poteva accogliere 15mila spettatori in più dell’attuale Stadio Olimpico, non è solo quello che conosciamo e che è stato imitato in tutto il mondo, ma è anche la patria del gabbiano Emilio. Di cui si conoscono i tragitti grazie al chip che gli è stato messo addosso e spazia in tutta Europa ma in inverno finché ce la fa torna a casa per la stagione riproduttiva. Anche come inconsapevole omaggio al nome che ha ricevuto, tratto dalla basilica Aemilia, fondata nel foro 2200 anni fa.
Un itinerario dopo l’altro fin quasi ad arrivare a 20 – tra la Tor Pignattara di Marco Aurelio, il Ponte Rotto sul Tevere che nel 700 divenne una sorta di giardino pensile aperto al pubblico simile all’attuale High Line di New York e via così camminando – potrebbe stancarci. Ma con Rutelli non ci si stanca mai.