Il Messaggero, 28 aprile 2022
I romani che invidiano l’asfalto degli altri
Ogni popolo ha le sue maledizioni. I messicani, ad esempio, hanno quella di Montezuma, che costringe i turisti ha lasciare di continuo qualcosa di loro in quella splendida terra e non sto parlando del cuore. I brasiliani temono la macumba mentre in Egitto esiste l’anatema dei faraoni, che colpisce chi profana una piramide.
Qui a Roma siamo perseguitati dalla terribile maledizione delle buche. Non si riesce a esorcizzarle, ad affrontarle con decisione ed eliminarle. Il problema è senza dubbio antico, alcune buche risalgono probabilmente all’Antica Roma, i cosiddetti Fori Imperiali. Sta di fatto che su lunghi tratti della rete viaria della Capitale la vera anomalia non è costituita dalle buche, ma dalle parti asfaltate. In questi giorni sembrava però che la maledizione si potesse spezzare, l’incantesimo era vicino a infrangersi: il Campidoglio aveva indetto un bando triennale, stanziando milioni di fondi, grazie al quale si sarebbe potuta finalmente realizzare la manutenzione ordinaria e straordinaria delle strade. Purtroppo è saltato tutto a causa di un’anomalia nella procedura. Il sogno s’è infranto immediatamente e con esso chissà quanti semiassi e ammortizzatori. In quest’epoca così incerta, le voragini sulle nostre vie cittadine continueranno a essere una delle poche certezze che ci rimangono. I dati forniti dal Codacons c’informano che nella Città Eterna si può rinvenire un dissesto stradale ogni 15 metri: a Roma non sei mai solo, c’è sempre una buca a farti compagnia. L’82% delle strade non è esente da questa realtà, tra il 2016 e il 2020 il Comune ha dovuto pagare risarcimenti per 6 milioni di euro, una cifra che di certo avrebbe potuto essere utilizzata meglio dall’amministrazione capitolina. Ma per ora i lavori non si faranno. Gli automobilisti romani dovranno convivere ancora con il mal di schiena, accompagnati dalla sensazione che i vecchi sampietrini siano la sola forma di pavimentazione affidabile. S’è ormai creata in tutti noi una strana, mesta rassegnazione, come se abitassimo sulla Luna e considerassimo i crateri una caratteristica congenita e inevitabile del luogo in cui viviamo. Quando il Romano va all’estero, molto prima delle bellezze architettoniche e monumentali, guarda in che stato sono le strade. E allora si stupisce, si amareggia, un velo di tristezza lo avvolge: Ma nvedi che asfalto hanno qui così bello, così compatto, liscio non ci si crede!. C’è addirittura chi lo fotografa, temendo di non essere creduto in Patria. Non mi sorprenderei se qualcuno cercasse di staccarne un pezzetto per portarselo a casa, come fanno da noi gli stranieri con i pezzi del Colosseo. Insomma, dopo 2775 anni di storia durante i quali abbiamo costruito acquedotti, ponti e anfiteatri che hanno sbalordito il mondo, siamo costretti ad ammirare il bitume altrui. Non invidiamo il cioccolato agli Svizzeri, né il Pil ai Tedeschi: invidiamo loro il manto stradale perfetto, omogeneo, ineguagliabile. Ci sembra una cosa talmente fantastica che, per descrivere una grande vittoria della nostra squadra di calcio contro un avversario temibile, diciamo: Li abbiamo asfaltati!. Questo perché l’asfalto ci appare un qualcosa di prezioso, quasi di magico, una chimera meravigliosa, una leggenda da tramandare ai posteri. Non so se un giorno riusciremo a veder realizzato il lifting delle nostre strade cittadine, forse la mia generazione non ce la farà. Possiamo solo sperare che lo vedano i nostri figli, è una speranza che abbiamo l’obbligo di coltivare. Anche perché il pericolo è che la gente cominci ad affezionarsi alle buche, a chiamarle per nome, a trovarle una cosa normale. Ci si abitua a tutto, purtroppo. Un giorno magari esci di casa e ti accorgi che la buca sulla strada davanti al tuo portone è scomparsa, qualcuno l’ha tappata. E allora, improvvisamente, senti che ti manca qualcosa. In definitiva, corriamo il rischio di inciampare in un paradosso ridicolo: provare un vuoto incolmabile perché è sparita una buca.