La Stampa, 27 aprile 2022
Intervista a Sofie Marceau
Ricominciare da una app. Non tutti ce la fanno, non tutti sono capaci e non tutti sono disposti ad ammettere che per vivere un nuovo, piacevole incontro, possa essere necessario ricorrere a una modalità così diffusa e così impersonale. Succede a Sophie Marceau, protagonista del film che Lisa Azuelos ha dedicato alla propria storia di figlia di madre celebre (Marie Laforet), impegnata a ricrearsi una vita negli States dopo aver superato i 50, nel tentativo di fare finalmente i conti con una figura materna che per tutta la sua esistenza è stata insieme assente e ingombrante. Recitare in I love America (dal 29 su Prime Video) significa per Marceau affrontare temi che riguardano da vicino la sua generazione, il suo mestiere, il suo modo di vivere il passare del tempo. Un film al femminile, che tocca argomenti importanti come l’eutanasia e come il MeToo, citato in una battuta che auspica il ritorno delle due parole al loro significato originale, non di denuncia: «Racconto una donna single, che non deve più occuparsi dei figli, perché ormai sono cresciuti, un po’ sola, con un sacco di tempo libero e la necessità di imparare a pensare a se stessa».
Crede nella possibilità di trovare l’anima gemella grazie a un’app?
«Penso che nella vita tutto possa succedere, soprattutto quando si è convinti del contrario. Non sono un’esperta di app di appuntamenti e non ho esperienze personali nel campo, ma so che un sacco di belle storie sono nate così. Dipende da quello che si sta cercando, è strano, ma in fondo oggi, anche se abbiamo molti modi per comunicare con gli altri, spesso avvertiamo un senso di solitudine. Ognuno desidera incontrare qualcuno, questo è ancora il desiderio più forte».
Nel film lei è una donna matura che incontra un uomo più giovane e ha paura di innamorarsene. Secondo lei perché le donne vivono con più difficoltà rispetto ai maschi l’avanzare degli anni?
«Diventare più vecchi significa avvicinarsi alla morte e questo ovviamente fa paura a tutti, e poi invecchiare è noioso, ti fa sempre male qualcosa, tutto diventa complicato. Per le donne il problema è più grande perché, in base alle regole del nostro contesto sociale, abbiamo una funzione da svolgere, dobbiamo prenderci cura della famiglia e dei figli. Quando questo compito è svolto diventiamo improvvisamente inutili, almeno agli occhi della società. Per fortuna oggi si stanno affermando immagini di donne diverse e noi stesse stiamo capendo che, senza certi pesi sulle spalle, possiamo goderci un’ottima parte della vita, anche se non abbiamo più la giovinezza».
Ha mai desiderato abbassarsi l’età?
«Anche se volessi non ho mai potuto farlo, tutti conoscono perfettamente la mia età, potrei levarmi gli anni solo se andassi in un posto dove nessuno ha mai visto un mio film. È dall’epoca del Tempo delle mele che la stampa di tutto il mondo insiste sulla mia età, prima ero troppo giovane, adesso sono troppo adulta. È sempre stato così, ma per me non è un problema».
Qual è il suo segreto di bellezza?
«Non ne ho, non faccio niente di particolare per tenermi in forma. Mi interessa semplicemente restare in buona salute, mi vedo un po’ come una macchina, quello che conta è che funzioni, e questo vale anche per il mio corpo».
I love America è anche la storia di una figlia che ha avuto una madre molto presa da se stessa e dal suo successo di cantante. Ha mai temuto di essere una madre inadeguata?
«Certo che sì, crescere i figli è il mestiere più complicato che esista. Ho scelto di essere madre e ne ho sempre sentito tutta la responsabilità, ho avuto anche paura di non essere all’altezza del compito, ma sono andata avanti, cercando di fare del mio meglio».
Ha girato due film che parlano di eutanasia, È andato tutto bene di François Ozon e ora I love America.
«Sull’eutanasia c’è un tabù, per questo è giusto che se ne parli. Ozon lo ha fatto in un modo divertente, fuori dalle regole del politically correct, con l’intenzione di ribadire il concetto secondo cui ognuno è libero di prendere le proprie decisioni, anche nei confronti della morte. Per un attore è sempre molto interessante poter affrontare temi che riguardano tutti, raccontare certe storie aiuta a far sentire tutti meno soli».
Ha recitato in America e in Europa, nei blockbuster e nei piccoli film d’autore. Dove si è sentita più a suo agio?
«Una volta che sei sul set non ci sono grandi differenze, devi recitare e basta. Poi, certo, le diversità esistono, negli Usa tutti vogliono essere molto professionali, in Europa si avverte meno pressione, cosa che può essere piacevole, ma anche frustrante. Per me va bene così, anche perché, nella mia carriera, a parte quello per Il tempo delle mele, non ho avuto occasione di fare spesso provini. E meno male, perché sono molto istintiva e in genere nei provini sono un disastro». —