la Repubblica, 27 aprile 2022
La nuova mappa dei profughi del clima
ROMA – Aprile è stato il mese del sorpasso sul 2021, ma più che i numeri (9.597 arrivi dall’inizio dell’anno, ancora assolutamente gestibili) sono le nazionalità dei migranti sbarcati a far scattare il campanello d’allarme. Gli egiziani su tutti (per l’improvviso schizzare in alto del costo della vita nel Paese maggior importatore di grano da Russia e Ucraina) e poi, tra i primi dieci Paesi di provenienza, Afghanistan, Eritrea, Guinea, Sudan, Nigeria, Congo allo stremo dopo la quarta stagione di siccità intervallata da alluvioni, l’innalzamento delle temperature oltre la media del resto del mondo e le conseguenti carestie che stanno affamando decine di milioni di persone.
L’Unhcr riaccende l’attenzione sulla relazione tra le emergenze climatiche e le migrazioni forzate. «La maggior parte delle persone a cui assicuriamo sostegno proviene dai Paesi più esposti all’emergenza climatica, esposte a catastrofi correlate ai cambiamenti climatici, alluvioni, siccità, desertificazioni, eventi che distruggono mezzi di sussistenza e alimentano conflitti costringendo alla fuga», dice Filippo Grandi. Nel Sahel, la temperatura media è aumentata di 1,5 gradi rispetto al resto del pianeta con conseguenze devastanti, solo nel Corno d’Africa – secondo le ultime stime di Oim e Save the children – dopo quattro anni senza piogge, sono 15-16 milioni le persone che hanno già un estremo bisogno di aiuti alimentari. «Una situazione disperata – dice Save the children – che fa temere che si ripeta quanto avvenuto nel 2011 quando la carestia causò la morte di 260.000 persone: metà erano bambini sotto i 5 anni».
Situazioni estreme che – ipotizzano gli analisti di settore – potrebbero spingere nuovi flussi migratori verso l’Europa. E l’Italia, Paese di primo approdo dall’Africa, potrebbe trovarsi stretta in una triplice morsa e dover affrontare un lavoro impegnativo sull’accoglienza: ai profughi ucraini in arrivo via terra da Nord (più di 101.000, 70.000 dei quali hanno già chiesto asilo), si aggiungono quelli in partenza dal Nord Africa (Libia e Tunisia) ma anche quelli che sbarcano sulle coste ioniche provenienti dalla Turchia e dalla Grecia. Una rotta, quest’ultima, che si prevede in costante aumento per la grande fuga degli afghani, e non solo quelli riusciti a riparare nei Paesi confinanti dopo la vittoria dei talebani. «L’Afghanistan – spiega Save the children – sta affrontando la sua peggiore crisi alimentare. La metà della popolazione, 23 milioni di persone tra cui 14 milioni di bambini, fa i conti con la fame e sopravvive a pane e acqua. Il costo della vita è raddoppiato».
Nel Corno d’Africa, Somalia, Etiopia, Kenya, Eritrea, dove il 90 per cento della farina e del grano vengono importati da Russia e Ucraina, è già carestia. E i trafficanti di uomini hanno vita facile a rallestrare le loro prede villaggio per villaggio. Le carovane battono le piste che dall’Africa occidentale portano su verso il Marocco puntando poi alla rotta spagnola attraverso le Canarie (ieri l’ultimo naufragio con 24 dispersi) o si spingono verso la Libia, dove i migranti passano di mano e restano per mesi in cerca di lavoro o nei campi di detenzione, sottoposti a ogni tipo di violenza e ricatto.
Decine di migliaia di persone in fuga che potrebbero essere destinate all’illegalità visto che in Italia e in Europa ai migranti climatici in quanto tali non viene riconosciuto lo status di rifugiato. «È davvero difficile sapere quanti sono i migranti che arrivano perché fuggono da clima e carestie – spiega Flavio Di Giacomo, portavoce di Oim Italia – ma almeno quelli che passano dalla Libia subiscono tutti tali atrocità in violazione dei più elementari diritti umani che quando arrivano hanno diritto per questo alla protezione internazionale».