la Repubblica, 27 aprile 2022
Le scarpe italiane vanno a Mosca per la fiera
Qualcuno parla addirittura di «una questione di vita o di morte»: per i calzaturifici italiani specializzati nel mercato russo trovare altri sbocchi in questo momento è impossibile. Ecco perché una cinquantina di imprese italiane, di cui trenta marchigiane, sono a Mosca fino a venerdì per partecipare all’Obuv’ Mir Kozhi, la fiera del calzaturiero e pelletteria organizzata dal 1997 da Bolognafiere e Assocalzaturifici, l’associazione di settore che fa capo a Confindustria. Una decisione che ha sollevato molte polemiche per via del momento scelto, nel pieno dell’invasione russa in Ucraina. Le imprese ne sono consapevoli, l’evento è stato posticipato di un mese rispetto alle date di marzo fissate inizialmente, sperando che intanto la guerra finisse. Ma poi, a fronte degli stand già pagati e soprattutto della necessità di vendere i propri prodotti, hanno deciso di partire. Nonostante le difficoltà di raggiungere Mosca e di ottenere i pagamenti, dati i blocchi bancari.
Bolognafiere non si è tirata indietro: «Abbiamo dovuto onorare i contratti che sono pluriennali e prevedono penali nel caso non vengano rispettati – spiega il direttore generale, Antonio Bruzzone –. Le imprese hanno premuto per andare ugualmente, non ci sembra per questo di minare il fronte anti-russo». Bolognafiere ha deciso però di congelare altri due eventi, per i quali non c’erano invece vincoli legali.
«Obuv’ rappresenta una fiera importante del settore, eravamo già organizzati per partecipare – spiegano da Pollini, marchio di San Mauro Pascoli, nel Cesenate –. La Russia rappresenta un mercato importante e faremo una raccolta ordini che saranno processati se ci saranno le condizioni che permetteranno di farlo, rispettando tutte le nuove normative». Le norme Ue non vietano la vendita di scarpe in Russia: le sanzioni colpiscono solo gli articoli di lusso, dai 300 euro in su di prezzo. Presenti, tra le altre, anche Furla e Nerogiardini.
«Ci sono aziende che lavorano per l’80-90% su quel mercato, qui si decidono le sanzioni senza pensare alle conseguenze», lamenta da Fermo il presidente della Confindustria locale, Arturo Venanzi, ex referente per Assocalzaturifici per il mercato russo, secondo cui «siamo tutti concordi nel condannare la guerra, ma le aziende devono sopravvivere e gli operai bisogna mantenerli». Nessun commento da Assocalzaturifici, da Confindustria Moda e da Confindustria in generale.
Tace anche la Farnesina, anche perché non ha alcun ruolo nell’organizzazione. Tra gli amministratori locali c’è più disponibilità a parlare della vicenda: le Marche difendono la scelta di sostenere la fiera. «Se la partecipazione è consentita, non vedo per quale motivo la Regione non dovrebbe dare sostegno alle imprese, che sono preoccupate e che con coraggio e determinazione cercano di tutelare se stesse e, facendolo, tutelano anche l’occupazione e il nostro prodotto interno lordo», afferma il presidente delle Marche, Francesco Acquaroli. «Si tratta di un contratto pluriennale sottoscritto ben prima del conflitto – spiega Vincenzo Colla, assessore allo Sviluppo economico della Regione Emilia-Romagna, azionista con l’11,6% di Bolognafiere – Non possiamo certo fermare attività permesse dalla legge».
D’altra parte il settore calzaturiero non è l’unico messo in ginocchio dalle ripercussioni delle sanzioni contro la Russia. Nell’agroalimentare, che dal 2014, calcola Coldiretti, ha perso un miliardo e mezzo di export, sono a rischio soprattutto i vini, 150 milioni di euro di vendite, seguiti da caffè, olio d’oliva e pasta. In cima all’export, dopo i macchinari, c’è l’abbigliamento. Ci sono poi tutti i prodotti di alta gamma, Bain & Company calcola che tra export italiano e francese si vendano 4-5 miliardi di euro in Russia. E poi ci sono gli effetti collaterali, come la carica di 4 milioni di tonnellate di frutta e verdura da Africa, Asia e Sudamerica che non possono più essere vendute in Russia, e ora fanno concorrenza agli agricoltori italiani, spingendo giù i prezzi.