il Fatto Quotidiano, 27 aprile 2022
Intervista al professor Cardini
Professor Cardini, il dibattito pubblico sulla guerra in Ucraina è al punto che su Repubblica Francesco Merlo di fatto “arruola” San Francesco tra i resistenti ucraini, scrivendo che non era un “hippie giullare, un poeta che canta agli uccelli, ma un “soldato di Cristo, un uomo d’armi”.
Guardi, ho scritto un libro sul San Francesco cavaliere, potrei persino essere d’accordo, ma bisognerebbe intendersi sul senso delle parole. Potrebbe essere che Merlo giochi sul fatto che nella tradizione cristiana c’è un forte elemento di “milizia”, nel senso mistico del termine. Ma invece ho la netta impressione che il discorso sia molto più superficiale.
In effetti l’articolo è ambientato nel cimitero americano di Falciani. La suggestione proposta dal giornalista è tra il santo e i soldati seppelliti lì.
Ecco. Allora Merlo, che pure è molto bravo, ha voluto mischiare le carte e ha finito per commettere l’errore che si fa quando ci si avventura a parlare di un tema che non si conosce bene. San Francesco era un soldato di Cristo, va benissimo, ma non c’entra nulla con i soldati americani, o tedeschi, russi, o della brigata Azov. Il suo è un vecchio trucco, una mezza verità. Il problema è che spesso le mezze verità sono più deleterie e anche più cretine delle scoperte bugie.
Nel racconto della guerra sembrano abbondare le une e le altre.
Ad esempio trovo incredibile, con tutto il rispetto per la figura presidenziale, che il presidente Mattarella abbia tirato fuori dal suo cilindro retorico la separazione tra Resistenza e antifascismo. E glielo dico io: da buon eretico, in 81 anni di vita, dell’antifascismo non me n’è mai fregato molto. Ma che il presidente della Repubblica lo lasci cadere perché bisogna difendere la causa ucraina, ecco, mi pare curioso. In Ucraina è difficile confondere resistenza e antifascismo, quando in mezzo c’è la brigata Azov.
L’uscita di Merlo sulla marcia della pace è l’ultimo esempio di una divisione feroce, sull’Ucraina, nel fronte che potremmo definire progressista.
A me questa polemica pare talmente debole, superficiale e cinica… un esercizio di ipocrisia, come i pater nostri recitati dalle vecchiette. Sono espressioni puramente retoriche: al momento opportuno, i buoni democratici decidono che la divisione Azov non è poi tanto male, o al limite che non è il caso di parlarne. Poi sono gli stessi che fanno le battaglie contro CasaPound. Io peraltro sono dell’idea che Azov vada studiata e non banalizzata, perché rappresenta uno spezzone non trascurabile del processo di formazione dell’identità nazionale dell’Ucraina, una delle espressioni di un processo identitario galoppante. I nuclei dell’élite ucraine guardano a occidente e vogliono uno stato nazionale che smetta di essere considerato il limite estremo della Russia e nella formazione di questa identità nazionale no possono rinunciare ad Azov, a “eroi” come Bandera, né alla storia dei soldati che hanno combattuto nelle Ss o che hanno avuto ruoli di responsabilità nei campi di sterminio tedeschi tra il 1941 e il 1944.
Di recente lei ha scritto un articolo in onore del popolo ucraino.
Ma certo, poveri Cristi: sono le vittime di una guerra per interposto popolo; Biden sta facendo la guerra alla Russia fino all’ultimo ucraino. E ha già in canna la prossima mossa di questa partita, che sarà in Finlandia, uno Stato che ha un’estensione di confini con la Russia ben altro che l’Ucraina: da lì la Nato può minacciare anche San Pietroburgo, oltre che Mosca.
Stiamo davvero scivolando verso la terza guerra mondiale?
Di certo Biden va in una direzione che non esclude affatto questo scenario. Ora Zelensky può anche dire di essere pronto a trattare, ma il suo padrone non lo è: l’ha riempito di soldi e di armi per fare un gioco preciso. Dal punto di vista politico, Putin fa bene a non parlare con lui: l’interlocutore è Biden. Non so se andiamo verso la guerra mondiale, magari ci siamo già dentro e non ce ne rendiamo ancora nemmeno conto. Tra il 1939 e la primavera del 1940 non succedeva nulla: i francesi l’hanno chiamata drôle de guerre (“guerra farsa”, ndr), fu una lunga fase di studio. Tra francesi e tedeschi sembrava un discorso tra sordi, tra gente che non si capiva. Alla fine si sono intesi e si sono trovati d’accordo sul fatto di distruggersi a vicenda.