1 - PAESE DIVISO: OPERAI CON LE PEN MANAGER E OVER 70 CON "MANU", 26 aprile 2022
È SEMPRE CITTÀ CONTRO CAMPAGNA - DALLA RADIOGRAFIA DEL VOTO IN FRANCIA EMERGE UN PAESE COMPLETAMENTE SPACCATO: MACRON HA VINTO CON PERCENTUALI BULGARE NEI GRANDI CENTRI URBANI (COMPRESE PERIFERIE E BANLIEUE), CON UN PICCO DELL’85% A PARIGI. MARINE LE PEN È ANDATA INVECE MOLTO FORTE NELLE AREE ISOLATE (E DESOLATE) DELLA FRANCIA RURALE, CHE SCONTA GLI EFFETTI NEGATIVI DELLA GLOBALIZZAZIONE E DELLA DEINDUSTRIALIZZAZIONE. CERTO, LA ZARINA SOVRANISTA HA PERSO, MA RISPETTO A 5 ANNI FA HA GUADAGNATO 3 MILIONI DI VOTI… -
Giovanni Diamanti per “il Messaggero” Dal voto francese emergono diverse indicazioni interessanti, utili a spiegare la vittoria oltre le previsioni di Emmanuel Macron, Manu per molti suoi sostenitori. Anzitutto, la chiave del suo successo va trovata nel voto al secondo turno degli elettori di Mélénchon, il vero target per entrambi gli entourage nelle ultime settimane di campagna.
Alla fine hanno preferito confermare il Presidente piuttosto che dare fiducia alla leader del Rassemblement con un margine importante: secondo Ifop, il 42% ha scelto Macron, mentre il 45% è rimasto a casa. Gli elettori di sinistra, quindi, hanno seguito le indicazioni del proprio leader, che aveva chiesto che nemmeno un voto della France Insoumise andasse a Le Pen.
LE GRANDI CITTÀ A premiare il presidente sono anche le grandi città: a Parigi arriva all'85%, supera il 75% a Lione e Lille, ma tocca il 60% anche a Marsiglia. È la riproposizione della frattura tra città e campagna: la Francia urbana sceglie Macron con margini enormi, mentre la Francia rurale rimane fedele a Marine Le Pen, che cresce nel Sud-Ovest del Paese e rimane forte nel Nord-Est.
È interessante notare come, nelle città, la vittoria di Macron non avvenga solo nei centri storici, ma si estenda anche in tutte le periferie e le banlieues, dove Mélénchon ha mostrato due settimane fa un importante radicamento. Se al primo turno il presidente era stato spinto soprattutto da anziani, pensionati e cittadini ad alto reddito, al ballottaggio la sua base sociale si evolve, senza modificarsi radicalmente.
I dati di BVA mostrano infatti un Macron che vince in tutte le classi d'età, ma se tra i cinquantenni e nella fascia 25-34 assistiamo a un testa a testa, la sfida tra gli over-70 ha un esito molto più netto, con il presidente al 74% dei consensi.
Le Pen è spinta da impiegati e operai, con il 57% dei voti dei primi e il 58% tra i secondi, e ottiene percentuali bulgare tra i simpatizzanti dei gilet gialli, il movimento di protesta contro il costo della vita e l'aumento dei prezzi nato nel 2018 proprio in antitesi a Macron. È la Francia a basso reddito, più popolare e fuori dalle città quella che sceglie la destra di Le Pen, che perde nettamente ma parla di vittoria, rivendicando gli otto punti in più ottenuti rispetto al ballottaggio di 5 anni fa, una crescita di quasi tre milioni di voti. Il distacco è ancora troppo grande per festeggiare davvero, ma racconta una sfida sicuramente più equilibrata e tesa tra due visioni opposte della Francia.
IL VOTO DEI CATTOLICI La crescita di Le Pen, tra l'altro, avviene tra i cittadini di tutte le confessioni religiose: per l'istituto Ifop all'interno dell'elettorato cattolico conquista il 45% dei voti, sette punti in più rispetto al 2017, e pur rimanendo fortemente minoritaria tra gli elettori delle altre confessioni, supera il dato di cinque anni fa sia tra i protestanti (35% contro il 33% del 2017) sia tra i musulmani, dove ottiene un 15% a fronte del precedente 8%.
Quadri dirigenziali, cittadini ad alto reddito, minoranze e residenti nelle città da un lato; operai, impiegati, lavoratori a basso reddito ed elettori rurali dall'altro. La Francia sceglie ancora nettamente Macron ma mostra una frattura sociale evidente: il compito del Presidente, ora, sarà quello di lavorare per sanarla.
2 - LA LE PEN HA CONQUISTATO 3 MILIONI DI VOTI PIÙ DEL '17 Mauro Zanon per “Libero quotidiano”
«È l'ottava volta che il cognome Le Pen subisce una sconfitta». Il messaggio forse più potente del secondo turno delle elezioni presidenziali francesi lo ha lanciato domenica sera Éric Zemmour dopo la chiusura delle urne, quando ancora una volta Marine Le Pen, leader del Rassemblement national (Rn), ha dovuto commentare una sconfitta, l'ennesima della sua carriera, dopo quelle raccolte dal padre.
Certo, non si tratta di una sconfitta come le altre, anzi: da quando è diventata presidente del principale partito sovranista francese ha allargato incessantemente il suo bacino di voti, trasformando una forza politica di protesta in una formazione "presidenziabile".
Nel 2012, anno della sua prima candidatura alle presidenziali con i colori del Front national, Marine raccolse 6,4 milioni di voti, ma si fermò al primo turno; cinque anni fa, è andata al ballottaggio, e il totale delle preferenze è stato di 10,6 milioni; allo scrutinio di domenica, gli elettori che hanno preferito lei al suo rivale, Emmanuel Macron, sono stati 13,2 milioni, ben 2,8 milioni in più rispetto al 2017. Ma l'impressione è che sia stato raggiunto l'apice, che più di così la madrina del sovranismo francese non possa fare.
IL TERZO TURNO «La sconfitta di Marine Le Pen era prevedibile da anni», ha sentenziato Zemmour, che ha sempre messo in dubbio la capacità della leader Rn di unire le destre, anche per via di quel cognome ingombrante. Ieri pomeriggio, tuttavia, l'ex giornalista del Figaro ha provato a lanciare un messaggio di apertura a Le Pen in vista del cosiddetto "terzo turno" delle presidenziali, ossia le elezioni legislative per il rinnovo dell'Assemblea nazionale che si terranno i prossimi 12 e 19 giugno.
«Marine Le Pen, accettando la mano che le porgo, avrà l'occasione di porre fine al cordone sanitario che sterilizza le possibilità del campo della nazione da quarant' anni a questa parte. Colga l'occasione, non per noi, ma per la Francia. Facciamolo. Assieme», ha twittato il presidente di Reconquête!, che al primo turno ha raccolto il 7,1% dei suffragi. Sul suo account, un tweet esorta alla creazione di un'«Unione nazionale in vista delle legislative». «Dobbiamo dimenticare i nostri dissidi e unire le nostre forze. È possibile. È indispensabile. È il nostro dovere», si legge.
Sempre su Twitter, si è espressa anche la vicepresidente di Reconquête!, Marion Maréchal, la nipotina Le Pen passata tra le braccia della concorrenza, che ora, però, vuole ricucire i rapporti per il bene della Francia. «Senza coalizione, Macron avrà i pieni poteri e Mélenchon disporrà del primo gruppo di opposizione; con una coalizione, possiamo rendere il campo sovranista la prima forza dell'Assemblea nazionale!
Chiediamo dunque un incontro con i responsabili di Rn», ha scritto l'ex deputata frontista. Jordan Bardella, delfino di Marine Le Pen e presidente ad interim di Rn, ha chiuso per ora la porta a qualsiasi alleanza con la formazione di Zemmour, ma nei prossimi giorni le cose potrebbero cambiare, visto che l'alternativa è facilitare la costruzione di una maggioranza allargata macronista e offrire un boulevard alla sinistra radicale di Jean-Luc Mélenchon, presidente della France insoumise (Lfi).
Quest' ultimo, forte dei suoi 7 milioni di voti al primo turno, punta a essere il rassembleur delle sinistre francesi, socialista, ecologista e comunista, e a "imporre" a Macron la sua nomina a primo ministro. «Non rassegnatevi. Il terzo turno comincia questa sera. Il 12 e il 19 giugno un altro mondo è ancora possibile se eleggerete una maggioranza formata dai deputati della nuova Unione popolare (il nome scelto da Lfi per la campagna delle presidenziali, ndr), che deve ampliarsi», ha dichiarato domenica sera rivolgendosi agli elettori del suo schieramento.
LA RABBIA POPOLARE Le Monde, ieri, ha parlato di una «vittoria senza trionfo» per Macron e del rischio di un «terzo turno sociale», oltre a quello politico, con l'estrema sinistra nelle piazze contro il progetto di riforma delle pensioni (aumento dell'età pensionabile da 62, a 65 anni), e un ritorno dei gilet gialli. La Francia uscita domenica dalle urne è un Paese diviso, frammentato e soprattutto arrabbiato.
Da una parte una Francia metropolitana, borghese, che beneficia dei vantaggi della globalizzazione e che ha votato in massa Macron, dall'altra una Francia periferica, profonda, vittima della deindustrializzazione e dell'indebolimento del potere d'acquisto, inquieta per la propria identità e per il proprio futuro. Il più grande fallimento del primo quinquennio è stata la mancata riconciliazione di queste due France. Senza un radicale cambiamento di paradigma, le conseguenze, nei prossimi cinque anni, potrebbero essere drammatiche.