il Giornale, 26 aprile 2022
Da premier, D’Alema incontrò in segreto Cuccia
Nel 1999, da presidente del Consiglio in carica, Massimo D’Alema partecipò a un incontro riservato, organizzato da Enrico Cuccia, boss di Mediobanca e Alfio Marchini, all’epoca un giovanissimo manager, ricordato per le sue non fortunate esperienze politiche da candidato sindaco di Roma, in un’abitazione della Capitale. Lo scopo dell’incontro, al quale era presente lo stesso Cuccia, fu quello di ottenere l’appoggio dell’allora capo dell’esecutivo alla scalata di Roberto Colaninno su Telecom Italia. L’episodio spunta nel racconto che Franco Bernabè, ex amministratore di Telecom Italia all’epoca dell’Opa di Colaninno, consegna al giornalista Alan Friedman nel suo ultimo libro «Il prezzo del futuro- Perché l’Italia rischia di sprecare l’occasione del secolo» (La nave di Teseo) in uscita in questi giorni.
Nelle oltre 500 pagine il giornalista statunitense stronca le misure grilline e riserva un capitolo all’attuale inquilino di Palazzo Chigi ribattezzato l’ammazzaspread. L’incontro tra D’Alema e Cuccia riscrive la verità su una delle operazioni finanziarie più controverse della storia d’Italia. Per quale motivo l’allora capo del governo in carica, che avrebbe dovuto mantenere una posizione neutrale, decide di incontrare Cuccia che appoggiava la scalata? E soprattutto perché l’incontro avvenne in una casa privata? E non a Palazzo Chigi. Dove sarebbe stato naturale avvenisse? Bernabè consegna a Friedman la sua tesi: «D’Alema si sentiva lusingato dalle attenzioni che gli riservava Enrico Cuccia. D’Alema, che voleva accreditarsi sia come sponsor del capitalismo sia come amico dei poteri forti italiani, e quindi affidabile nei confronti del sistema, va a questo incontro con Cuccia, che è un incontro veramente anomalo, perché fatto dal presidente del consiglio in casa di un privato con Cuccia». Poi il racconto di Bernabè si sposta sulle posizioni che emersero rispetto all’operazione all’interno del governo guidato dall’ex leader dei Ds e nell’intera classe politica. «L’unico politico di peso che all’epoca affrontò di petto D’Alema, criticando Colaninno e le segrete trame di Mediobanca, fu il leggendario Beniamino Andreatta, il grande liberale che oggi è la bussola morale che ispira l’operato di Mario Draghi, di cui per anni è stato il mentore. Andreatta si domandò: Cosa avesse da gioire D’Alema per un’operazione che avrebbe addossato debiti su Telecom, dimezzandone il flusso di cassa disponibile per gli investimenti». C’è un secondo episodio raccontato da Bernabè che avvalora la tesi di un pieno coinvolgimento di D’Alema nella scalata a Telecom Italia. E stavolta Bernabè è testimone oculare. Friedman chiede a Bernabè che ruolo avesse avuto D’Alema. «Il Tesoro deteneva ancora il 3,5 per cento di Telecom, il governo D’Alema ufficialmente si era dichiarato neutrale, eppure il primo ministro dava l’impressione di aver concesso il proprio endorsement a Colaninno, con quel suo commento sui capitani coraggiosi». Il secondo episodio riporta al pomeriggio di una domenica del febbraio 1999. Era appena stato dato l’annuncio dell’Opa Telecom e Bernabè era andato a un incontro con D’Alema in persona. Incapace di trattenere la rabbia e la delusione, si era lamentato di quello che lui definiva «l’appoggio che il suo governo aveva concesso a un gruppo la cui componente finanziaria di natura speculativa predominava palesemente su quella industriale». Il giornalista incalza Bernabè chiedendo se ricorda un clima di particolare freddezza alla fine dell’incontro. «Freddezza? Ma che freddezza?- sbotta Bernabè -. Era proprio uno scontro e molto, molto duro. Io non riuscivo a credere che D’Alema sostenesse quell’operazione e lui invece non solo la sosteneva, ma argomentava a favore del fatto che a quel punto si sarebbe salvaguardata l’italianità. Io gli ho detto: Scusami, ma per salvaguardare l’italianità ammazzi le prospettive di crescita di Telecom Italia? – Ah, non ti permettere». «Io dissi a D’Alema: Sono stupefatto che un primo ministro italiano, in un capitalismo così fragile, consenta un’operazione che in nessun altro paese mai è stata consentita, cioè di fare un’operazione ostile su un incumbent di un settore molto particolare». Il giornalista americano ha provato a chiedere a Massimo D’Alema un commento sulle ricostruzioni di Bernabè. Nessuna risposta.