Corriere della Sera, 26 aprile 2022
La vittoria di Macron vista da Alain Touraine
Dal dodicesimo piano della sua casa di Montparnasse, e più ancora dall’alto dei suoi 97 anni ad agosto, si può spaziare per tutta Parigi – le chiese, la storia – e avere la sensazione che il mondo possa ancora essere studiato, pensato, forse capito.
Professor Alain Touraine, la vittoria di Macron è stata netta? O di risulta?
«Vittoria netta. Quasi venti punti: di cosa stiamo parlando? Un europeista che vince due volte in Francia al tempo di Brexit, Trump e della rivolta contro la globalizzazione è una pagina di storia politica».
Però l’estrema destra è al massimo storico.
«Certo. In Francia esiste un forte sentimento antieuropeo. Come esiste la xenofobia. Marine Le Pen ha fatto una campagna sociale di sinistra, su lavoro e salari. Ma i francesi non sono idioti: sanno che il fondo del suo pensiero resta xenofobo. E anche antisemita. Di estrema destra, appunto».
I partiti tradizionali sono stati travolti.
«All’apparenza, è impressionante: la candidata socialista Anne Hidalgo, sindaca di Parigi, non arriva all’1,8%... In realtà, è del tutto normale».
Perché?
«Perché quando cambia il tipo di società, cambiano gli attori politici. Nel 1848 fecero irruzione nella storia gli operai: i moti di Parigi deposero l’ultimo re, Luigi Filippo. Cominciava la lotta di classe con i padroni, la storia del socialismo e della destra borghese. Ora quel mondo è finito».
Ma resta la frattura tra chi sta sopra e chi sotto, chi vive in città e chi in provincia, chi vota Macron e chi Le Pen.
«Vede, la Francia fu uno Stato prima di essere una società; e questo è un problema che non abbiamo ancora risolto. La Francia nasce dall’alleanza tra il re e la borghesia contro gli aristocratici: Il Re Sole e il gran borghese Colbert contro la Fronda. Ma ancora oggi l’alta amministrazione – il Consiglio di Stato, la Corte dei Conti, le grandi scuole della capitale, insomma il mondo da cui viene Macron – è considerato dai francesi come la corte del re; quindi nemica del popolo».
Emmanuel Carrère ha detto al «Corriere» che, a differenza dei socialisti, la destra repubblicana esiste ancora; perché la destra repubblicana è Macron.
«La vera domanda dovrebbe essere: chi è Macron?».
Appunto: chi è? Lei ha scritto un libro su di lui. Ce lo dica.
«Macron non viene da destra. Il suo maestro è stato Paul Ricoeur, il più importante filosofo della propria generazione, cresciuto in contatto con i grandi che avevano pochi anni più di lui: Jean-Paul Sartre, Maurice Merleau-Ponty, Simone de Beauvoir. Anche gli uomini che hanno inventato Macron sono di sinistra».
In che senso inventato?
«Macron ha fatto studi umanisti, letterari. Poi gli è stato spiegato che per fare politica occorreva denaro; per questo è entrato nella banca Rotschild. Prima ha distrutto il partito socialista, con un colpo di Stato non tanto contro il presidente Hollande quanto contro la sinistra interna. Poi dall’Eliseo ha distrutto il partito neogollista. Macron è un grande tattico. Ma quale sia il suo progetto politico, oltre a distruggere, non è chiaro».
L’Europa, no?
«Certo: gli Stati Uniti d’Europa, o almeno un nocciolo duro che comprenda Germania, Italia, Spagna. E l’Olanda, grande potenza finanziaria. Il momento è propizio perché la Germania non è troppo forte: la Merkel è uscita di scena, il suo bilancio è in discussione; e quando la parola tocca alle armi, come in Ucraina, la Germania è ancora debole».
La guerra ha influito sulle elezioni?
«Avrebbe potuto: Marine Le Pen è un’amica di Putin, ha preso soldi dalla Russia. Putin se l’è comprata».
Come mai allora i francesi le hanno dato oltre 13 milioni di voti?
«Perché rivendicano di poter scegliere il proprio presidente. Pensi del resto a quanti politici europei si sono comprati gli americani… L’elezione non è stata decisa dalla guerra, ma dalla pandemia».
Perché?
«Nel 2021 stavo scrivendo un capitolo di un libro molto critico verso Macron, e mi sono fermato: pensavo ci fosse davvero il pericolo di una vittoria dell’estrema destra. Poi però il presidente ha fatto la mossa giusta. Ha rifiutato un secondo lockdown. Non ha dato retta alla comunità medico-scientifica, che chiedeva nuove restrizioni. Ha liberato i francesi. È stato allora che ha vinto le elezioni. Il resto l’ha fatto Marine Le Pen, che si è mostrata non all’altezza, non abbastanza colta».
La cultura è così importante?
«Non siamo mai stati una grande potenza industriale. Il nostro impero faceva ridere rispetto a quello inglese. Il nostro esercito da tempo non è più così potente. Il potere culturale, la lingua, la letteratura è l’unico motivo per cui la Francia resta un Paese importante nel mondo».
Però gli studenti della Sorbona scrivevano «né con Macron né con Le Pen».
«La Sorbona è da sempre una pessima università. Era buona nel XIII secolo, forse nel XIV. L’ultimo studente che ha imparato qualcosa alla Sorbona è stato Dante. Eppure è proprio nelle università che Macron può lasciare un segno di sé nella storia di Francia».
Perché?
«Ogni secolo ha la sua istituzione necessaria. L’Ottocento ha avuto le grandi banche commerciali: in Italia sono nate a Milano, che per questo è tuttora la capitale economica. Il Novecento ha avuto la grande industria. Questo è il secolo delle “research university”. Macron dovrebbe dare alla Francia grandi università di ricerca. Per realizzare il progetto del mio compagno all’École Normale, Michel Foucault».
Andava all’università con Foucault?
«Entrò un anno dopo di me. Diceva che l’università deve essere il luogo in cui si trasforma un giovane in un soggetto umano; vale a dire un dio».
Il mondo della scuola non ama Macron.
«Lo detesta. In particolare gli studenti della materie umanistiche. E i professori delle materie scientifiche: pagati troppo poco rispetto ai compagni di corso assunti dalle imprese private. Tutti costoro hanno votato Mélenchon. Come dice il giovane Piketty…».
Piketty ha 52 anni.
«Appunto: giovanissimo. Piketty fa notare che la forza motrice della sinistra un tempo erano i militanti, gli operai; oggi è la gente dell’università».
La Francia è sull’orlo di una nuova rivolta sociale?
«Il pericolo c’è, e Macron farebbe bene a negoziare la sua riforma delle pensioni, anziché imporla. Ma il motivo per cui da vent’anni esplodono le rivolte e si combattono le guerre non sono le pensioni, né l’economia».
Qual è allora?
«La religione. E religione, in uno Stato laico come la Francia, vuol dire Islam. Ricordo che con mia sorella più grande, Jeanne…».
Quanti anni ha sua sorella?
«Cento. Andammo a vedere i leader mondiali venuti a sostenere la Francia dopo il Bataclan. Abbiamo avuto stragi terribili, da Charlie Hebdoal 14 luglio a Nizza. Eppure il Paese ha tenuto».
Nel dibattito con Marine Le Pen, Macron ha parlato di rischio di guerra civile.
«La guerra con l’Islam dura dai tempi delle crociate. Perché non possono intendersi i fedeli di una religione come il cristianesimo – per cui l’uomo è creato a immagine e somiglianza di Dio, e Dio si è fatto uomo – e l’Islam, per cui Dio è tutto e l’uomo è nulla».
Grazie professore, io e i lettori del «Corriere» la ascolteremmo ancora; ma il pomeriggio è finito, la pagina pure.
«Grazie a voi per avermi ascoltato parlare sulla società francese. Che, come spero abbiate capito, non esiste».