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 2022  aprile 25 Lunedì calendario

MAL COMUNE, NESSUN GAUDIO - FATE QUALCOSA, QUI STANNO FALLENDO GLI ENTI LOCALI! - UN’AMMINISTRAZIONE SU 20 È IN GRAVE CRISI FINANZIARIA: IL 5%, SE FOSSE UN'AZIENDA, AVREBBE GIÀ DOVUTO DICHIARARE DEFAULT - GRAN PARTE DEI CASI È CONCENTRATA AL SUD: I BILANCI GIÀ MALMESSI SI SONO AGGRAVATI CON PANDEMIA E RINCARI - I MUNICIPI BATTONO CASSA AL GOVERNO, I CUI AIUTI SONO GOCCE NEL DESERTO - COSÌ I RIMEDI SONO I SOLITI: TASSE AUMENTATE E SERVIZI TAGLIATI... -

L'ultimo allarme è stato lanciato dal sindaco di Palermo. Leoluca Orlando, dopo la bocciatura del Consiglio comunale al raddoppio dell'Irpef, ha alzato il telefono e ha chiamato il premier Mario Draghi per chiedergli un intervento straordinario «simile a quello dato a Napoli, Torino e Roma che hanno avuto più di 1 miliardo» a fronte dei 180 milioni ricevuti dal capoluogo siciliano.

La città è prossima al dissesto finanziario. Cosa significa? Lo sanno bene tutti coloro che operano con un ente locale, certi di trovarsi di fronte a soggetti che pagano le fatture in tempi accettabili, mentre si scontrano con lunghi tempi di attesa.

Un Comune in dissesto finanziario non può garantire lo svolgimento delle funzioni e dei servizi indispensabili e deve approvare un nuovo bilancio basato principalmente sull'aumento delle proprie entrate, sino al massimo consentito dalla legge.

Ciò vuol dire che tutte le imposte comunali saranno alzate il più possibile e, se fosse necessario anche un contenimento delle spese, saranno tagliati i servizi. Nella situazione di dissesto si trovano 120 Comuni, mentre 266 sono in pre dissesto, cioè sull'orlo del baratro, come emerge dal rapporto della Commissione per la stabilità finanziaria degli enti locali.

Sono quindi 386 gli enti in gravissima crisi. Il che vuol dire che su circa 8.000 Comuni, il 4,88%, 1 su 20, se fossero stati aziende avrebbero già dovuto dichiarare il fallimento e avrebbero chiuso. Poi ci sono Comuni che sono in sofferenza finanziaria, ma non ancora così grave da essere in pre dissesto, e sono il 15% del totale, 1 su 8.

Queste realtà sono state aggravate dalla pandemia e ora si trovano alle prese con i rincari energetici, con costi che sono aumentati del 30-40% e con materie prime, schizzate, già prima della guerra, a livelli insostenibili.

I dati elaborati dal Viminale confermano una concentrazione delle dichiarazioni di dissesto nelle regioni meridionali, in particolare, 30 enti in Sicilia, 37 in Calabria, 26 in Campania. Gli altri casi si riscontrano in Abruzzo (tre casi), in Basilicata (tre casi), nel Lazio (nove casi), in Liguria con un caso, come nelle Marche, in Molise, in Piemonte, in Toscana e in Umbria. In Lombardia si contano tre casi come in Puglia.

Nel corso del 2021 sono stati istruiti 51 piani di riequilibrio finanziario pluriennale. Gli interventi del governo per tamponare gli aumenti dei prezzi energetici (circa 200 milioni su 1 miliardo di euro necessari, secondo la stima dell'Anci, l'Associazione dei Comuni) paiono una goccia nel deserto. Il presidente dell'Anci, Antonio Decaro, ha messo in guardia dal rischio che i servizi pubblici non possano più essere erogati con continuità.

Potrebbero saltare anche i piani di assunzione. I Comuni da anni sono in sofferenza per il blocco del turnover e avevano programmato di ampliare l'organico per gestire i soldi del Pnrr. Ma senza personale i progetti non si possono realizzare.

L'Anci ha stimato un aggravio della bolletta energetica di almeno 550 milioni di euro su una spesa complessiva annua per l'elettricità che oscilla tra 1,6 e 1,8 miliardi di euro. «Non vorremmo ritrovarci», ha detto Decaro, «a dover scegliere tra salvaguardare gli equilibri di bilancio ed erogare i servizi».

I Comuni potrebbero essere costretti anche ad aumentare imposte come l'Imu, l'addizionale Irpef, il canone per l'occupazione delle aree pubbliche, la tassa sulle affissioni e quella sui rifiuti. In numerosi enti le aliquote sono già al livello massimo, ma quelle che hanno ancora margini di manovra potrebbero essere usate per far cassa.

Un'altra voce importante è l'imposta di soggiorno, che introdotta nel 2011, aveva l'obiettivo di essere riutilizzata a sostegno del turismo per aumentare i servizi, ma con il tempo si è trasformata in un veicolo per drenare risorse utili ad altre funzioni o tamponare i disavanzi di bilancio. Chi non ce l'ha, potrebbe introdurla.

A Roma, questa imposta che è tra le più alte d'Italia, frutta in un anno 130 milioni di euro per circa 100 posti letto regolari. Sono oltre 1.000 i Comuni che la applicano e sono in crescita. Nel 2019 erano 1.020 e nel 2020 sono saliti a 1.041, secondo il Centro studi enti locali.

Qualche città ha cominciato a tagliare i costi. A Torino, a marzo, è stato abbassato a 18 gradi il riscaldamento negli uffici comunali ma è anche vero che si sta andando verso l'estate e bisognerà vedere se analoghi interventi saranno presi per il condizionamento dell’aria.

Nel Pavese, Voghera pensa già per l'autunno di spegnere i riscaldamenti al sabato nei locali non frequentati delle scuole, mentre Garlasco ha scritto alle associazioni che usano gli immobili pubblici chiedendo di usare «la mano leggera» con i telecomandi dei condizionatori.

Nella provincia di Verona alcuni piccoli Comuni hanno deciso di spegnere i lampioni stradali un'ora prima del solito alla mattina e di prorogare l'accensione automatica serale di mezz'ora, in modo da sfruttare le ultime luci del tramonto o lasciare al buio monumenti e strade secondarie.

Ci sono poi le ricadute sulle opere pubbliche già appaltate che ora costano il 30-40% in più. Quando sono state fatte le gare, le materie prime avevano costi inferiori a quelli di oggi, così le ditte chiedono di rivedere le cifre degli appalti oppure fermano i cantieri.

Scuole progettate per costare una decina di milioni, adesso presentano un conto raddoppiato. Sicché il Comune decide di aspettare per trovare nuovi finanziamenti. Ma così la ripresa legata ai soldi del Pnrr, deve attendere.