Il Messaggero, 25 aprile 2022
In Giappone ci sono più animali domestici che bambini
Secondo la Japan National Pet Food Association il Giappone è il primo Paese al mondo dove gli animali domestici superano il numero dei bambini. I dati non sono confermati (pare che anche Regno Unito e Usa registrino lo stesso fenomeno) ma è un fatto che in Giappone (ma anche in altri Paesi orientali, come Cina e Corea) negli ultimi anni si è verificato un vero e proprio boom.
In Giappone sono diffusissimi, anche quelli un po’ più bizzarri, come gli insetti (molti bambini addestrano con immenso impegno e affetto un esemplare locale di cervo volante) ma i gatti sono di gran lunga predominanti: oltre 9 milioni, contro 7 milioni di cani. Secondo Masahiro Miyamoto, autore di un interessante saggio sull’argomento la Nekonomics (neko in giapponese significa gatto, quindi economia felina) vale, in Giappone, oltre 2 mila miliardi di yen, qualcosa come 200 miliardi di dollari. Ed è in aumento continuo: durante la pandemia è stato uno dei pochi a crescere, e non è difficile comprenderne il motivo. Anche rispetto ai cani, i gatti sono molto più sostenibili: meno invasivi, più silenziosi, non devono essere accompagnati fuori. E questo nonostante sia sempre più difficile trovare appartamenti e condomini che li accettano. Tempo fa ho visto con i miei occhi un avviso, fuori dalla vetrina di un’agenzia immobiliare, in cui era chiaramente indicato che non erano graditi né animali domestici né gaijin (stranieri), nell’ordine.
Un mercato in continua espansione, anche per quanto riguarda l’indotto: dal cibo all’abbigliamento, dalle palestre ai saloni estetici, dalle terme ai ristoranti dedicati. Questa è l’ultima moda: in Giappone, specie la sera, sono pochissimi i ristoranti che accettano animali domestici (spesso non sono graditi neanche i bambini), ma ora sono nati i family restaurant che accettano i bambini, ma anche cani e gatti, cui è dedicato uno speciale menù. A Jimbocho, il famoso quartiere dei libri di Tokyo, c’è una libreria diventata oramai frequentatissima: si chiama Nyanko-do (Nyan è l’onomatopeismo locale equivalente al nostro miao). Il proprietario, Fumio Anegawa, anni fa stava per chiudere, poi su consiglio della moglie, amante dei gatti e della linea Hello Kitty decise di provare con le pubblicazioni specializzate. Ora, specie durante i weekend, fuori dal negozio c’è la fila.
E nel 2020 il riconoscimento ufficiale. Tra le tante festività nazionali, il governo ha istituito il neko no hi, la giornata nazionale del gatto. Cade il 22 febbraio. Bella vita, dunque, per i gatti giapponesi: che oramai si vedono circolare per le vie delle città a bordo di eleganti carrozzine, avvolti in costose tutine firmate dai maggiori stilisti, e che non devono più temere le imboscate dei malefici nekogari (cacciatori di gatti) quelli che fino al secolo scorso andavano in giro, di notte, a caccia di gatti per spellarli e vendere la loro pelle preziosa ai fabbricanti di shamisen, uno dei tradizionali strumenti a corde del Giappone.
Attenzione però, perché c’è anche il lato meno kawaii (carino, termine molto diffuso in Giappone). Come tutte le mode, anche l’amore per gli animali domestici è molto effimero. Così come per i capi di abbigliamento, anche per cuccioli e micetti comanda il mercato: un anno vanno di moda i chihuaha, l’altro i bassotti. E lo stesso vale per l’ancor più sofisticato e ahimè, crudele, mercato dei mici. «Purtroppo l’animale domestico è considerato un accessorio, un optional. Anche se la situazione sta un po’ cambiando, specie tra i giovani, sono molti i proprietari che decidono di sbarazzarsene. E in Giappone lo si può fare in fretta e senza problemi», spiega Michiko Kobayashi, autrice di un seguitissimo blog che tra le altre cose si occupa di trovare casa a cani e gatti divenuti inutili.
Ma non è facile. Il mercato dell’usato praticamente non esiste, e lo Stato viene incontro in maniera tanto efficace quanto crudele. In genere, basta chiamare un numero di telefono degli hokensho, equivalenti ai nostri distretti sanitari, per disporre del proprio animale domestico. In Giappone gli animali domestici non si abbandonano: si eliminano. E quindi ecco che entrano in funzione gli orribili camioncini della morte, che ovviamente vengono chiamati eufemisticamente dream car, macchina dei sogni. Si tratta di piccoli furgoni con un contenitore sigillato, dove i poveri animali vengono caricati e, durante il tragitto verso il crematoio, gasati. La dose iniettata attraverso il tubo è la stessa.
C’è chi muore pressoché all’istante, ma gli animali di taglia più grande soffrono molto più a lungo. Ultimamente molti Comuni utilizzano team di volontari che prima al telefono, poi anche recandosi a domicilio, cercano di convincere i proprietari a ripensarci. Ma senza grande successo: il diritto all’eutanasia per gli animali domestici è sancito dalla legge e se il proprietario insiste, le autorità debbono ottemperare. Secondo statistiche ufficiali, ogni anno in Giappone vengono uccisi in questo modo oltre 200 mila animali l’anno. Sono circa 500 al giorno.