il Fatto Quotidiano, 25 aprile 2022
Macron, «il più mal eletto dei presidenti della Quinta Repubblica»
Emmanuel Macron resta all’Eliseo. Il presidente uscente è stato rieletto ieri sera col 58,5% contro il 41,5% per Marine Le Pen. Una vittoria netta, ma meno schiacciante rispetto a quella del 2017, quando l’allora candidato En Marche! vinse con il 66%, mentre Marine Le Pen si fermò al 34%. La folla dei militanti ha sventolato tricolori francesi e bandiere blu dell’Unione europea fino a tardi ieri sera sugli Champs-de-Mars. Macron è arrivato sulle note dell’Inno alla gioia, l’inno europeo, come fece davanti alla Piramide di vetro del Louvre, nel 2017. Ha parlato con la Tour Eiffel alle spalle, un simbolo: era lì che avrebbe voluto festeggiare la sua vittoria nel 2017: “Grazie a chi mi ha votato come argine contro la destra: darò risposte alla rabbia, sarò il presidente di tutti per una Francia più indipendente, umanista, repubblicana, sociale ed ecologica, e un’Europa più forte”.
“On a gagné”, “Abbiamo vinto”, scandiva la folla. Il voto di ieri non era importante solo per la Francia. Negli ultimi giorni di campagna, non solo due programmi, ma due visioni della società si sono opposti. Le Pen all’Eliseo avrebbe gettato la Francia nel caos sociale e l’Europa nel caos politico. La sua rielezione, che allontana la minaccia sovranista, è un sollievo per l’UE. Una presidente francese di estrema destra, in piena presidenza di turno del Consiglio Ue, in piena guerra in Ucraina, sarebbe stata paragonabile ad una nuova Brexit. “Insieme faremo avanzare la Francia e l’Europa”, ha reagito la presidente della Commissione Ue, Ursula von de Leyen. “In questo periodo tormentato – ha detto anche Charles Michel, presidente del Consiglio Ue – abbiamo bisogno di un’Europa solida e di una Francia totalmente impegnata per un’Unione europea più sovrana e strategica”.
Dunque Macron ha vinto. Ma con un’astensione al 28,2%, quasi da record, seconda solo al ballottaggio del 1969 tra Pompidou e Poher, quando fu del 31,15%. Più alta di quella del primo turno del 10 aprile scorso (26%) e in crescita rispetto al 2017 (25,4%). Astensione che è il segnale preoccupante di un malessere profondo, di una frattura democratica che bisognerà riparare. Che il rischio dell’estrema destra al potere non basta più a mobilitare i francesi. Marine Le Pen aveva riunito i suoi in un padiglione del Bois de Boulogne. Prendendo la parola poco dopo le 20, ha riconosciuto la sconfitta, ma ha anche rivendicato una “vittoria eclatante”: “Malgrado due settimane di attacchi violenti – ha detto –, le idee che rappresentiamo stasera raggiungono i vertici. Milioni di compatrioti hanno fatto la scelta del campo nazionale e del cambiamento”.
L’estrema destra non è stata mai così alta in Francia (oltre 13 milioni i voti ottenuti ieri dalla Le Pen, ndr). Vent’anni fa, nel 2002, Jacques Chirac approfittò di un importante scudo anti-estrema destra, che gli permise di vincere con un trionfante 82% di fronte al padre di Marine, Jean-Marie Le Pen, il patriarca dell’estrema destra francese, che al primo turno aveva eliminato il socialista Jospin. Venti anni dopo, il risultato molto più serrato mostra che la leader dell’estrema destra, che ha ripreso il partito paterno nel 2011, ha fatto molta strada. Ha finalizzato la sua strategia di “normalizzazione” e si è impostai nel panorama politico come un candidato qualunque. Negli ultimi mesi ha puntato sulla principale preoccupazione dei francesi, il carovita. La campagna è stata soffocata prima dal Covid poi dalla guerra. Macron praticamente non ha fatto campagna, ha schivato i dibattiti. Ieri sera ha potuto beneficiare anche del voto senza convinzione di chi non si riconosce nella sua presidenza “dei ricchi” e nella sua arroganza, ma che ha votato per lui solo per evitare “il peggio”. Non potrà non tenerne conto. Tra i due turni è andato a tenere un grande meeting a Marsiglia, sulle terre di Jean-Luc Mélenchon, il leader della France Insoumise, ormai prima forza della gauche, terza al primo turno con il 21,9%. È stato a Saint-Denis, nella banlieue più popolare e arrabbiata di Parigi cha ha votato in massa per la sinistra radicale. Dovrà parlare ai giovani, che hanno a cuore la questione del clima e hanno votato al 60% per l’“indomito”. Macron si è mostrato pronto a fare concessioni. Ha annunciato la creazione di un ministero della pianificazione ecologica. Si è detto pronto a ridiscutere l’impopolare riforma delle pensioni. A portare avanti “un nuovo grande dibattito permanente”.
La battaglia del cosiddetto “terzo turno” delle elezioni, le legislative di giugno (il 12 e il 19), è già iniziata. Mélenchon, uscito più forte dalle presidenziali, ha rilanciato ieri un appello alla sinistra d’unirsi per ottenere la maggioranza in Assemblea e imporre a Macron una coabitazione: “Eleggetemi primo ministro”. “Macron è il più mal eletto dei presidenti della Quinta Repubblica – ha detto –. Il blocco popolare è il terzo stato che può cambiare tutto”. A sua volta, Le Pen ha lanciato “un appello a tutti quelli che vogliono unirsi a per opporsi alla politica di Macron”.