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 2022  aprile 25 Lunedì calendario

I RISULTATI DEFINITIVI DELLE ELEZIONI FRANCESI: EMMANUEL MACRON HA VINTO CON IL 58,55%, CONTRO IL 41,45% DI MARINE LE PEN. LO SCARTO È DI 5,5 MILIONI DI VOTI, CON UN’ASTENSIONE RECORD DEL 28,01% - CAZZULLO: “NON È UNA VITTORIA DI CONQUISTA, MA DI RISULTA. UN MEZZO MIRACOLO, IN TEMPO DI RIVOLTA CONTRO L'ESTABLISHMENT; UNA MEZZA DELUSIONE, CON LA DESTRA POPULISTA AL MASSIMO STORICO. MACRON LO SA…” – TAFFERUGLI A PARIGI E IN ALTRE CITTÀ CONTRO IL “TOYBOY DELL’ELISEO” - VIDEO -

(ANSA) - Terminato lo spoglio dei voti, il ministero dell'Interno francese ha diffuso i risultati definitivi del secondo turno delle presidenziali. Il presidente uscente Emmanuel Macron ha ottenuto 18,7 milioni di voti, il 58,55% di quelli espressi. Per la sfidante Marine Le Pen hanno votato 13,3 milioni di francesi, una percentuale del 41,45% dei voti. L'astensione ha fatto segnare il livello più alto per un ballottaggio dal 1969, con il 28,01%.

2 - FRANCIA: MACRON RIELETTO, TAFFERUGLI A PARIGI E ALTRE CITTÀ (ANSA) - Alcune centinaia di manifestanti, soprattutto giovani dei gruppi 'antifas' hanno dato vita a cortei a Parigi e in altre città francesi per protestare contro la rielezione del presidente Emmanuel Macron.

Subito dopo l'annuncio della vittoria di Macron, nel centro di Parigi - il quartiere di Les Halles - fra i 250 e i 300 manifestanti antifas hanno sfilato al grido di "Macron vattene", scontrandosi con la polizia. Fra gli slogan, "Marine Le Pen fa schifo" e "Manu Macron, fa schifo".

Il corteo è arrivato fino a place de la République. Sul percorso, lanciati oggetti e pietre contro la polizia, rovesciati cassonetti e motorini parcheggiati. Violenze a Rennes, nel nord-ovest, dove 250 persone si sono riunite nel centro dietro a uno striscione con la scritta "Quello che non avremo dalle urne, lo avremo dalla piazza".

Fra gli slogan, "Macron ci fa la guerra con la sua polizia" e "Abbasso lo stato, i poliziotti e i fascisti". Incendiati cassonetti con intervento a più riprese dei pompieri. Sette manifestanti sono stati fermati. Incidenti anche nel centro di Nantes, durante un corteo di protesta di 400-500 persone, così come a Tolosa, al grido di "Né Macron, né Le Pen, rivoluzione". In 200 hanno sfilato a Caen, un centinaio a Strasburgo, senza incidenti.

3 - MACRON FESTEGGIA SOTTO LA TOUR EIFFEL «UNA NUOVA ERA» Aldo Cazzullo per il “Corriere della Sera”

Prima l'inno europeo, poi la Marsigliese cantata da una mezzo soprano egiziana. Emmanuel Macron esulta sullo sfondo della Tour Eiffel. Ma l'europeismo ha vinto un a battaglia, non la guerra. Marine Le Pen è sconfitta; il populismo e il sovranismo, no.

Più che una festa di popolo, questo ai Campi di Marte è un set per i media. Più che un boato, è un frastuono di fotografi e cameramen ad accogliere la notizia che corre sul maxischermo: Macron rivince con il 58,5%; altri cinque anni all'Eliseo, e poi il sogno di diventare il primo presidente eletto degli Stati Uniti d'Europa.

Miracolo e delusione Il pubblico intona una Marsigliese fiacca, presto sovrastata dalla musica techno del dj. Ad attendere Macron sotto il palco ci sono più giornalisti che militanti con bandierine tricolori: mai visti tanti reporter tutti insieme, neppure da Trump nel 2016; code infinite per entrare nel parco, con i cani campioni di caccia all'esplosivo ad annusare gli zaini («portatevi il cibo da casa, non è previsto buffet» avvisava prudentemente lo staff dell'Eliseo).

Nel Paese, l'entusiasmo è tale che l'ambasciata americana avvisa su Twitter del pericolo di moti spontanei di protesta; non è difficile prevederne nei prossimi mesi, soprattutto se Macron tenterà di realizzare la riforma delle pensioni. Il 58,5% è meglio dei sondaggi della vigilia; ma è peggio di cinque anni fa.

Non è una vittoria di conquista, ma di risulta. Un mezzo miracolo, in tempo di rivolta contro l'establishment; una mezza delusione, con la destra populista al massimo storico. Macron lo sa: «Molti mi hanno votato non per sostenere le mie idee, ma per opporsi all'estrema destra. Vorrei dire loro che apprezzo questo senso del dovere, l'attaccamento alla Repubblica, il rispetto delle differenze».

I Campi di Marte erano il luogo delle ultime passeggiate di Mitterrand, come da titolo di un film struggente; ma appartengono allo scenario monumentale e destrorso di Parigi, a un passo dalla tomba di Napoleone. Nel 2007 Nicolas Sarkozy cantò - malissimo - la Marsigliese con Mireille Mathieu in Place de la Concorde, prima di infilarsi nello sventurato party al Fouquet' s, locale vip poi devastato dai Gilet gialli.

Nel 2012, François Hollande fu conteso sul palco della Bastiglia tra la madre dei suoi quattro figli, Ségolene Royal, che lo baciò sulla guancia, e dalla compagna di allora Valérie Trierweiler («baciami sulla bocca!»). Cinque anni fa, Macron scelse uno scenario neutro e centrale: il Louvre, culla della cultura. Stavolta arriva a piedi sotto la Tour Eiffel, mano nella mano con la moglie Brigitte, che ha compiuto 69 anni in campagna elettorale.

Fa suonare ancora una volta l'inno europeo. E parla senza iattanza, cercando la solennità ma anche un tono preoccupato per il disagio sociale, attento ai francesi che non si sono riconosciuti in lui. «I prossimi cinque anni non saranno una continuazione dei precedenti. Si apre un'era nuova. Dobbiamo liberare le forze creatrici, culturali, imprenditoriali.

Dobbiamo promuovere l'invenzione collettiva di un metodo rifondato, al servizio dei giovani, del Paese». È una serata di sollievo, più che di gioia. Ha il sapore dell'impresa il fatto che a conquistare per la seconda volta l'Eliseo sia un europeista laureato all'Ena, la grande scuola dell'amministrazione francese, formatosi alla banca Rothschild, benedetto dall'establishment parigino, appoggiato dai media, non ostile agli immigrati: tutte le cose - l'Europa, l'Ena, le banche, l'establishment, Parigi, i media, gli immigrati - che la Francia profonda detesta di più.

E in effetti, se avesse votato soltanto la capitale, Macron sarebbe quasi al 90%; ma se avessero votato soltanto il Nord de-industrializzato o il Sud terra d'approdo per l'immigrazione, avrebbe vinto Marine Le Pen. È questa la mezza delusione per il presidente che si riproponeva di ridurre la frattura sociale, riunire i francesi, ridimensionare l'ondata populista.

Così Macron saluta anche chi ha votato la rivale, e ferma i buu che arrivano subito dalla platea: «Vi ho sempre chiesto di non fischiare. Mai. Non sono più il candidato di uno schieramento, sono il presidente di tutte e di tutti. Alla collera e al disaccordo darò una risposta». In termini assoluti, gli mancano tre milioni di voti rispetto al 2017. L'astensione arriva al 28%; ma poteva andare peggio. Sceneggiata fuori dal seggio di Jean Lassalle, candidato situazionista che al primo turno ha superato il milione di voti, celebre per le sue improvvisate (da ragazzo si imbucò nel coro dell'Armata Rossa per cantare davanti al leader dell'Unione Sovietica Leonid Brenev); stavolta ha ritirato la scheda, l'ha lasciata bianca e l'ha mostrata alle telecamere.

Le schede bianche e nulle alla fine saranno più di due milioni e mezzo. Il presidente ha una parola anche per chi non ha scelto: «So che dovrò rendere conto di ciò che farò anche a voi. Nessuno sarà lasciato indietro. Mi impegnerò sull'ecologia, sul lavoro, sulla parità tra uomo e donna».

La citazione L'altra volta, Macron chiuse la campagna elettorale con una bellissima citazione dei Miserabili di Victor Hugo: «Tentare, osare, insistere, perseverare, essere fedeli a se stessi, affrontare il destino corpo a corpo, tener duro, tener testa; ecco l'esempio di cui i popoli hanno bisogno, ecco la luce che li elettrizza» (prudentemente omesso il seguito: «La stessa luce formidabile va dalla torcia di Prometeo alla pipa di Cambronne», quello della parolaccia a Waterloo).

Stavolta lo dice con parole sue: «Viviamo tempi tragici. La guerra in Ucraina è lì a ricordarcelo. Al di là dei dubbi e delle divisioni, dovremo essere forti. Ognuno di noi avrà una responsabilità, ognuno di noi conta più di se stesso, perché tutti insieme siamo un unico popolo. E io sono così fiero di tornare a servire il popolo francese». Ricorre più volte la parola Europa, «la nostra Europa». Con lui ha vinto la Francia che crede nella costruzione europea, che trae profitto dalla globalizzazione e pure dall'immigrazione.

Con il presidente uscente era schierato l'intero apparato produttivo, dai missili ai macaron, da Le Figaro , controllato dai Dassault (armi), a Françoise Holder, proprietaria delle pasticcerie Ladurée.

Ma contro di lui si è espressa la Francia che dall'Europa si sente sopraffatta, dalla globalizzazione tradita, dall'immigrazione assediata.

La sfida delle politiche La battaglia non finisce qui, prosegue con la scelta del primo ministro - probabilmente una donna, difficilmente Christine Lagarde, che serve alla Bce - e con le legislative di giugno. Il presidente faticherà ad avere una maggioranza all'Assemblea nazionale, forse cercherà un accordo con quel che rimane della destra repubblicana.

Si giocherà con altre regole: va al secondo turno chi supera il 12,5% degli iscritti: in molti collegi ci saranno al ballottaggio tre o quattro candidati - il mélanchonista, il macronista, il repubblicano, il lepenista - e si vincerà per un pugno di voti. Ieri i mélenchonisti in maggioranza hanno sostenuto Macron, almeno nelle grandi città; meno in provincia e in banlieue. Saint-Denis, feudo del tribuno rosso, è il dipartimento che ha votato meno.

I territori d'oltremare, retaggio dell'impero, hanno scelto in massa Marine Le Pen. Cinque anni fa, la Francia ha fatto una scommessa coraggiosa su un trentanovenne di bell'aspetto, che entrò all'Eliseo senza mai essere stato eletto neppure in consiglio comunale.

Ieri la seconda potenza europea ha ridato fiducia a un presidente che ha saputo andare contro lo spirito del tempo - il pessimismo, il populismo - contro il vento della storia che dopo la Brexit e Donald Trump pareva spirare in tutt' altra direzione. La pandemia prima, la guerra poi hanno suonato un richiamo all'ordine. Eppure la Francia ha davanti cinque anni duri; e l'Europa pure. Chiusura con Marsigliese affidata alla cantante lirica egiziana Farrah El Dibany. Macron ha accennato a seguirla a mezza voce, poi si è vergognato.