Corriere della Sera, 25 aprile 2022
Biografia di Lloyd Austin
Lloyd Austin, il capo del Pentagono, è sicuramente la figura meno appariscente, meno loquace nella «terna di guerra» di cui fa parte, insieme con il segretario di Stato Antony Blinken e il consigliere per la Sicurezza nazionale, Jake Sullivan. Negli ultimi due mesi, però, la sua parola è stata spesso quella definitiva. C’è la sua impronta nelle scelte strategiche più importanti di Joe Biden.
Già nel novembre scorso il capo del Pentagono aveva avvertito la Casa Bianca: i russi stanno ammassando truppe al confine con l’Ucraina, fanno sul serio. In quelle settimane era ancora fresco il trauma del ritiro dall’Afghanistan. Nell’estate del 2021 Austin aveva insistito a lungo: dobbiamo lasciare almeno un presidio a Kabul. Non venne ascoltato. Biden diede ordine di smobilitare e Austin si caricò sulle spalle, senza fiatare, la gestione di un ritiro disastroso.
I repubblicani chiesero le dimissioni del segretario alla Difesa. Ma il presidente non ci ha mai pensato un momento. Sei mesi dopo, Austin si ritrova, in maniera inaspettata, al centro della politica americana e mondiale. Da quando è scoppiato il conflitto in Ucraina, passa in ufficio anche il sabato e la domenica mattina, prima di andare a messa con la moglie Charlene. Per il resto non ha cambiato abitudini. Poche conferenze stampa, zero «briefing riservati». A quelli ci pensa il suo attivissimo portavoce, l’Ammiraglio (in pensione) John Kirby. È anche difficile incontrarlo in uno dei tanti incontri organizzati dai centri studi di Washington. Nelle riunioni di governo, però, non si nasconde: la sua posizione è sempre molto chiara.
Joe Biden lo aveva scelto nel 2021 per una serie di ragioni. Innanzitutto per accontentare la lobby afroamericana che chiedeva posti ad alta visibilità. Ma, secondo il Washington Post, anche perché non avrebbe fatto ombra al presidente. Così Austin, 68 anni, nato a Mobile, in Alabama, diventò il primo segretario alla Difesa afroamericano. Di per sé una svolta: su 41 generali a quattro stelle, solo due sono afroamericani.
In effetti Austin non ha mai fatto ombra a Biden, se mai lo ha aiutato a navigare nella crisi più difficile e più rischiosa, capovolgendo anche schemi consolidati. È Austin a bocciare, fin dall’inizio, l’istituzione della «no fly zone» per presidiare lo spazio aereo dell’Ucraina. Ed è sempre il segretario alla Difesa a tracciare la distinzione tra «armi difensive» e «offensive», usata da Biden per limitare, almeno all’inizio, la fornitura di ordigni all’Ucraina. Un diplomatico polacco, in servizio alla Nato, ha raccontato al Corriere: «Di solito il Pentagono spinge per una linea più aggressiva, ma in questo caso Austin è sempre stato più prudente dello stesso Blinken».
Il segretario alla Difesa ha comandato sul campo le operazioni in Iraq nel 2010 e ha ricoperto incarichi operativi in Afghanistan. Conosce, ha vissuto direttamente la guerra. E forse per questo la considera l’ultima possibilità. Può sembrare sorprendente, ma Austin, il laureato di West Point, l’ufficiale con 40 anni di carriera nell’esercito, ha fatto il possibile per favorire i negoziati. Ora, però, a torto a ragione, l’Amministrazione Biden pensa che quel tentativo sia fallito e non resti che appoggiare fino in fondo la resistenza di Zelensky. Austin, scrive ancora il Washington Post, ha fatto preparare una mappa dell’Ucraina con diversi colori: a ogni macchia corrisponde una fornitura di missili, cannoni, elicotteri o droni arrivata a destinazione. Quella cartina plana ogni giorno sulla scrivania di Biden.