Corriere della Sera, 24 aprile 2022
La pianista Ruth e il disco a 97 anni
«Sono nata in California, da genitori polacchi, e sono fiera delle mie radici slave». La pianista Ruth Slenczynska ha debuttato all’età di 4 anni, e dopo 93 anni è ancora qui che suona. È l’ultima allieva in vita di Rachmaninov, ha suonato per quattro presidenti Usa. E ha appena inciso un cd, My life in music . «Sono brani che mi riportano a persone incontrate nella mia vita. Samuel Barber mi disse: devi far sentire la bellezza della musica e non mostrare quanto diavolo sei brava».
È minuta, ha i capelli bianchi corti, è piena di energia. Cominciamo da Rachmaninov. «Beh, a lui mi legano lezioni e tante tazze di tè. Conservo un suo regalo magnifico, un braccialetto con un uovo di Fabergé in miniatura. Le racconto come ci siamo conosciuti. Io ero molto giovane, lui dovette cancellare un concerto per problemi al gomito, il suo manager non voleva perdere il compenso così contattò mio padre chiedendo se potevo suonare al suo posto. Fu un bel successo e mi volle incontrare. Ero nervosa, mio padre mi spinse in stanza con il compositore che cercò di allentare la mia tensione mostrandomi una foto mentre era nella sua barca su un lago. Mi disse che gli piaceva correre come un pazzo sull’acqua, e di tornare che mi avrebbe dato lezioni».
Ruth non si sente una sopravvissuta. «Ciò che mi tiene in vita è l’incoraggiamento e l’affetto di amici e dei miei vecchi studenti».
La Decca le ha chiesto di registrare un cd, 60 anni dopo quello precedente.
«Sono rimasta molto sorpresa... Alla mia età!». Ha suonato per diversi Presidenti americani. «Con Hoover avevo 5 anni, poi Truman con cui ho suonato un pezzo per quattro mani, J.F. Kennedy, Reagan, l’unico repubblicano per cui ho votato, ricordo che sua moglie si raccomandò di parlare forte perché il marito aveva problemi di udito. Infine Carter. Con Truman fu elettrizzante. Una voce misteriosa al telefono mi disse che sarebbe venuta a prelevarmi un’auto del governo, non poteva dare ulteriori informazioni e non potevo fare domande. Alla Casa Bianca restai di sasso, noi musicisti siamo abituati a entrare dall’ingresso laterale, mi ritrovai tra marines in alta uniforme, un salone dopo l’altro, non sapevo dove guardare. Si aprì una porta e mi venne incontro il Presidente. Mi disse: dobbiamo allenarci, non abbiamo troppo tempo. Suonammo Mozart. E non era affatto male come pianista. Mi sono esibita con Michiko, che fu imperatrice, la consorte dell’imperatore giapponese Akihito. Aveva letto che avevo un bel suono ma non spettacolare. Suonai Liszt e lei si avvicinò fino a sfiorarmi, voleva vedere meglio le mie mani che andavano dappertutto».
Nel 1989 ha suonato al funerale di Horowitz, il grande dandy della musica: «Era curioso del mio Chopin, diceva che avevo manipolato certi passaggi. Mi parlava in francese ai party con sua moglie, mentre giocava a carte con gli amici».
Come fu la sua adolescenza? «Non ne ho mai avuta una, non sono mai stata bambina. Mio padre era un tiranno e mi ha spinto a diventare musicista a ogni costo, ero una macchina per far soldi, mi picchiava se non lo assecondavo. Mi obbligava a suonare Chopin ogni giorno prima di fare colazione. Al mio debutto, a 6 anni, il direttore del teatro voleva regalarmi una bambola, mio padre salì sul palco e disse: state lontani con quella bambola. Non me la fece nemmeno toccare».
Quali pianisti ammira? «Kissin, Primakov, Thibaudet e Yuja Wang». Ha rimpianti? «Guardo avanti, mai indietro». Cosa sogna? «Sogno ogni giorno, come tutti».