Corriere della Sera, 24 aprile 2022
Il capotreno zelante e le 5 mila multe
Sta lavorando?
«Ovvio, ho iniziato all’alba. Adesso il treno è fermo a Bologna e ho un’ora di pausa prima di ricominciare…».
Dica la verità, quante multe ha fatto oggi?
«Ancora nessuna, lo giuro».
Francesco Bonanno, 61 anni, origini siciliane e veneziano (di Jesolo) d’adozione, è il capotreno che nel gennaio del 2017 fu licenziato «per giusta causa» da Trenitalia che gli contestava di aver compiuto 175 errori nell’emissione dei titoli di viaggio destinati ad altrettanti passeggeri che aveva «pizzicato» a viaggiare a sbafo perché sprovvisti di biglietto oppure con un ticket non timbrato o non corretto per quella tratta. Lui ha fatto causa all’azienda spiegando ai giudici che quelle infrazioni rappresentavano il 3,5% delle migliaia di multe che aveva fatto in quegli ultimi due anni. Un record.
Tutti i tribunali gli hanno dato ragione e nei giorni scorsi la Cassazione ha chiuso il caso annullando il licenziamento. Nelle sentenze i giudici lo descrivono come un controllore di «zelo non comune, inflessibile ed estremamente puntiglioso nell’elevare contravvenzioni», un pubblico ufficiale dotato di una «intransigenza zelante». Le infrazioni? Non certo compiute «con finalità esclusive di lucro né in mala fede contro l’azienda». Anzi, gli «errori nello svolgimento dell’attività di controllo» sono da considerarsi «un effetto indiretto dell’eccesso di zelo». Il suo avvocato, Lucio Spampatti, ancora non ci crede: «Non avevo mai visto licenziare un dipendente perché lavora troppo. Una storia paradossale, considerando che stiamo parlando di un capotreno che, a furia di scoprire viaggiatori irregolari, ha fatto guadagnare a Trenitalia oltre 200 mila euro».
Bonanno da un paio d’anni (dopo che anche la corte d’Appello di Venezia gli aveva dato ragione) è tornato al suo posto. «È la fine di un incubo», racconta. «Fin dall’inizio il giudice del lavoro mi aveva dato ragione e l’azienda mi aveva reintegrato senza riassumermi: sono rimasto a casa per un anno e mezzo percependo lo stipendio senza lavorare. Per me non era una questione di soldi: volevo tornare a indossare la mia divisa. Amo questo mestiere e ho grande rispetto per Trenitalia. Provengo da una famiglia di ferrovieri e fin da bambino sognavo di trascorrere la mia giornata andando su e giù per i vagoni».
C’è riuscito.
«Trentotto anni di carriera. Chiudere con l’onta di un licenziamento sarebbe stato orribile».
Per i giudici lei è «inflessibile e puntiglioso». Ma quante multe ha fatto?
«Nel biennio preso in esame da Trenitalia 0ltre 5 mila».
Allora lo vede che hanno ragione? È spietato...
«Macché, lo chieda ai miei figli: in famiglia sono fin troppo accomodante. Non sono un cacciatore di taglie, ma sul lavoro ci vuole rigore, devo impegnarmi affinché tutti i passeggeri viaggino con regolare biglietto. Non sono mai autoritario né prepotente, è una questione di civiltà».
È lo spauracchio dei passeggeri...
«Al contrario, mi adorano. Perché i “furbetti” sono una minima parte. La quasi totalità degli italiani paga il biglietto e mal sopporta l’idea che ci sia chi gode dello stesso servizio senza sborsare un soldo. I passeggeri capiscono che io e i miei colleghi ci diamo da fare per evitare un’ingiustizia. Le dirò di più: la gran parte dei multati mi dice “so che sta facendo il suo lavoro”. Ecco, è il mio lavoro. Poi, certo, a volte qualcuno dà i numeri».
Cosa le è capitato?
«Qualche anno fa, a Vicenza, ho trovato una signora che viaggiava sprovvista di biglietto e con il cane senza museruola. Quando ha capito che l’avrei fatta scendere alla fermata successiva è andata su tutte le furie e mi ha aggredito. Cose che capitano».
I colleghi cosa pensano del suo record di «produttività»?
«Molti mi hanno espresso solidarietà. Ma c’è anche qualcuno che non sopporta il mio modo di lavorare, mi accusano di essere troppo rigido, sparlano alle mie spalle. Io però vado dritto per la mia strada: sui treni viaggia soltanto chi ha il biglietto».