Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2022  aprile 24 Domenica calendario

Intervista a Beeple, terzo artista vivente più quotato

Sulla Riva degli Schiavoni, a Venezia, c’è un quarantenne americano con la montatura degli occhiali anni Cinquanta che si ferma a parlare con un passante. Si congeda dicendo: «Mi chiamo Mike Winkelmann». Ma, per il mondo, questo signore con l’aria da bravo ragazzo è Beeple. Ovvero il terzo artista vivente più quotato al mondo, dopo Jeff Koons e David Hockney. Il primo a raggiungere un record – oltre 69 milioni di dollari, pagati attraverso criptovalute – con un’opera immateriale: un NFT (non fungible token), un oggetto unico, certificato con tecnologia blockchain e autentico, ma solo digitale. Confuso tra la folla, ha visitato la Biennale e apprezzato il Padiglione della Corea: quello con inquietanti sculture postumane di led, alluminio e sensori. Ora è a Torino, tra i protagonisti della mostra Espressioni con Frazioni al Castello di Rivoli, che mette a confronto artisti tradizionali e digitali sul tema del postumano. Per la direttrice Carolyn Christov-Bakargiev, Beeple «è un po’ una figura di Prometeo inverso, lontano dall’idea che le macchine ci sostituiranno».
Mr Winkelmann, a Rivoli, per la prima volta, espone un’opera fisica in un museo…
«Human One è una scultura di schermi led che vuole essere la prima opera a rompere il divario tra mondo fisico e digitale. Mostra un astronauta che cammina in un pianeta in evoluzione. Esiste nel regno fisico, ma anche come NFT. La nostra vita ormai è un mix tra queste due realtà. Non significa che una sia migliore e l’altra peggiore: semplicemente è così. Per me realtà fisica e digitale non sono l’una contro l’altra. Stiamo parlando di un nuovo mezzo portatore di nuove possibilità. Si tratta di conoscerlo, di impararne le potenzialità e, una volta che sarà accaduto, sarà più accettabile per tutti. Esattamente come fu per la fotografia».
A Rivoli la sua opera è accanto a “Study for Portrait IX” di Francis Bacon.
«È un onore enorme. Il fatto che le due opere siano vicine aiuterà le persone a capire che quello che uso è semplicemente un altro medium. Settant’anni fa, quando i dipinti di Bacon iniziarono a venire fuori, la gente si chiedeva “ma che cos’è questo?”. Tutti ne erano spaventati. È la stessa cosa che succede ora con gli NFT e con l’arte digitale. Ma questo dialogo ravvicinato con Bacon permetterà di capire che cosa può essere l’arte oggi».
Quindi lei si considera un artista?
«Mi sono sempre considerato un artista. Ma questa parola, per quanto mi riguarda, a volte è sinonimo di egocentrismo e di pretenziosità. Sono sempre stato un creativo. Per anni non ho venduto opere: guadagnavo come designer, risolvendo problemi pratici, realizzando video, pubblicità. L’artista è quello che esprime se stesso e basta».
Lei esprime se stesso dal primo maggio 2007, il giorno in cui decise di realizzare un’opera al giorno, pubblicandola sul suo sito. Cominciò con un ritratto di suo zio Jim.
«Volevo migliorare. Avevo visto un illustratore inglese, Tom Judd, che si era imposto di realizzare un disegno al giorno. Così decisi di fare lo stesso. Perché abbia iniziato dal ritratto di mio zio questo proprio non lo so. Non mi ricordo».
Ha mai saltato un giorno?
«No, non mi è mai successo. Entro mezzanotte finisco un’opera. Spesso le utilizzo per commentare un fatto del giorno. Prima per fare una cosa del genere che somiglia a un dipinto occorreva molto più tempo. Anche solo dieci anni fa, non sarebbe stato possibile fare quello che faccio».
Sa dipingere o disegnare?
«A mano no, sono pessimo. Mi piacerebbe saperlo fare. Ma ci sono tante persone che ci riescono, decine di migliaia di pittori capaci. Il problema non è la tecnica: sono le idee la cosa più difficile da trovare».
È vero che i suoi televisori sono sempre sintonizzati su Cnn e Fox News?
«I due televisori di casa sì. Nello studio ne ho sei. E sono sempre muti, sintonizzati su canali all news. Rappresentano le mie finestre sul mondo: affacci per capire che cosa sta accadendo fuori dalla mia stanza. È un modo per essere connesso con l’esterno».
Le notizie di oggi influenzano il suo lavoro?
«Sì, certo, come è accaduto durante la presidenza di Trump. L’influenza della politica è qualcosa di relativamente recente: risale a tre, quattro anni fa. Prima il mio era un lavoro più astratto».
Come si svolge una sua giornata tipo?
«Mi sveglio intorno alle 8, non troppo tardi. Ho dei giorni in cui non lavoro tanto e altri in cui lavoro di continuo. La mia programmazione cambia. Vado a letto di solito verso le 2. E le opere le sforno tra le 9 e le 10, entro mezzanotte comunque. Nella città in cui vivo, Charleston, non conosco nessuno e non ho amici, così per lo più passo il tempo dividendomi tra la famiglia e il lavoro».
Perché non ha amici?
«Ci siamo trasferiti a Charleston, in Carolina del Sud, quattro anni fa. Di solito socializzo quando sono in viaggio di lavoro o per conferenze. Per il resto preferisco passare il tempo a casa in famiglia o davanti al computer».
È vero che i suoi computer si trovano sopra la vasca da bagno?
«Sì (ride). Hanno bisogno di molta potenza. I software che uso, come Cinema 4D, simulano la vita, producono un sacco di calore e fanno molto rumore. Gli schermi si trovano nello studio e sono collegati ai computer che sono in un’altra stanza, sistemati su una piattaforma posizionata sulla vasca».
Lei è associato agli NFT, ma fino a un anno e mezzo fa non sapeva che cosa fossero.
«Me ne hanno parlato nell’estate del 2020, proponendomi di vendere le mie opere. Allora ho capito che l’arte digitale poteva essere il momento della svolta. Ho iniziato a pensare alle potenzialità della cosa, a una nuova maniera di collezionare. Un’opportunità così può capitare una volta sola nella vita».
E così arriviamo alla vendita da Christie’s dell’11 marzo 2021. Oltre 69 milioni di dollari per “Everydays: The First 5000 Days”, il collage delle sue prime 5000 opere.
«È stato surreale. Mi considero parte di un processo, ne sono solo un pezzo. Ovviamente i soldi fanno piacere e mi consentono di fare cose che non avrei potuto permettermi prima. Il giorno dopo il record, sono volato in Florida con un jet privato. Non ero mai stato a Miami, non avevo mai viaggiato in business class. È stata un’esperienza straordinaria. Ma i guadagni mi aprono anche vie creative nuove. Adesso l’arte digitale viene considerata in modo diverso e questo è importante».
È diventato il terzo artista vivente più costoso. Che cosa pensa degli altri due: Jeff Koons e David Hockney?
«Conosco più Koons di Hockney. Mi piace Koons. Hockney, a dire il vero, non tanto. Non è il mio genere. Le aste sono cose strane. Ci sono due persone che decidono per l’intero mondo. È un po’ una follia».
Sta dicendo che, proprio lei, non crede nel mercato dell’arte?
«I soldi sono un modo per creare più lavori. Aprono possibilità. Ma il mercato è molto fluttuante, a volte senza senso».
E gli NFT? Il fenomeno durerà?
«Cambierà la percezione che se ne ha. Diventeranno come le email. Nessuno oggi direbbe “non credo nelle email”. Ci saranno NFT per la casa, l’automobile, per raccogliere i dati sanitari. Entreranno a far parte più direttamente della vita, anche emotiva, della gente comune. Saranno utili. Altro che speculazioni economiche».
Dobbiamo preoccuparci per il futuro? La tecnologia ci dominerà?
«Dobbiamo essere attenti, non spaventati. La tecnologia crea nuove possibilità: sarà sempre usata in modo positivo e negativo. La rivoluzione industriale ha portato innovazione e inquinamento. Internet ha permesso l’accesso all’informazione ma anche le fake news e la disinformazione, la fine della privacy. Sarà così anche nel futuro e sarà più estremo perché tutto cambierà con maggiore rapidità e vedremo tecnologie disparate combinate insieme. Come le blockchain che non avevano nulla a che vedere con l’arte e guarda che cosa è successo a me».
Ma lo sa che ha lo stesso cognome di Johann Joachim Winckelmann, l’archeologo settecentesco teorico del Neoclassicismo?
«L’ho sentito. Ma non ne sapevo nulla. Non mi interessa molto l’archeologia. Mi appassiona di più il Novecento, quei 100 anni che per la velocità del progresso sono sembrati 2000».