la Repubblica, 24 aprile 2022
In una fossa comune le vittime del teatro di Mariupol
L’enorme ruspa arancione solleva e sposta colonne, quella piccola gialla porta via i detriti, le mani nude degli uomini in fila tolgono le macerie minute una ad una come nelle prime ore di un terremoto. Si lavora duro, sul cantiere del teatro di Mariupol sventrato dalle bombe. Si lavora per portar via i morti e cancellare le tracce.
Le autorità locali hanno diffuso il video dei lavori in corso, e la registrazione di una chiamata di servizio: «Mi è stato chiesto di portare un trattore con un carro, è per trasportare dei morti?». «Devi prendere i sacchi e andare al teatro. Come lo avevi capito?», replica una donna. È in corso il grande sgombero, scrive sui social il consigliere del sindaco, Petro Andriuschenko: «Hanno imballato i corpi dei morti in sacchi di plastica, i trattori li hanno portati nei camion radunati nella zona industriale vicino all’autostrada Nikolsky. Una volta pieni li portano a Manhush», dove è stata identificata la prima gigantesca fossa comune.
A fare il lavoraccio, dice Andriuscheko, sono gli operai distaccati dai territori occupati di Donetsk, i “filorussi”. «I residenti locali si sono rifiutati di partecipare ai lavori», spiega. Se è vero che i russi hanno tentato di coinvolgere operai locali, evidentemente non si preoccupano affatto di nascondere le tracce del massacro. Sarebbe impossibile, d’altronde. Dopo tanti giorni la rimozione dei cadaveri non è rinviabile. Ma una volta portati nelle fosse comuni insieme agli altri morti di questa ecatombe, sarà molto difficile delineare i confini della più crudele delle esecuzioni di massa. Una strage di innocenti che avevano cercato scampo nella solennità monumentale del teatro: era scritto a lettere cubitali che c’erano “bambini”, così che i russi lo vedessero bene dall’alto prima di ordinarne la distruzione.
Non si respira, a Mariupol. L’odore della morte, l’orrore delle notizie. Addio anche a Elizaveta Ochkur e Sonya Amelchikova, le piccole “Lucy” delle Cronache di Narnia. Avevano nove anni, ma erano già attrici: recitavano in un teatro d’avanguardia nato qualche anno fa in città. Le cercavano da settimane, sperando si fossero salvate chissà come. Elisaveta era sotto le macerie di un palazzo di 9 piani, sventrato dalle bombe. Si era rifugiata in cantina, ma neppure Aslan il leone l’ha potuta salvare dalla follia degli adulti. Sonya è stata trovata accanto al corpo di mamma Angelica.
Non si fermano mai, le armi. Neppure adesso che i russi hanno annunciato che Mariupol è caduta, e Putin ha detto che non vale neppure la pena di stanare gli ultimi resistenti dalla Azovstal, la grande acciaieria assediata. Gli ucraini non sono affatto d’accordo, e continuano a resistere e ad assicurare che non è caduto un bel niente. E si combatte, e si spara, e si bombarda.Il presidente Zelensky nella coreografica conferenza stampa in metropolitana di ieri ha detto che è stata la giornata di combattimenti più intensi, nella città martire sul Mar d’Azov. I russi sparano da ogni direzione verso l’acciaieria, sull’acciaieria. Là dentro, i soldati del reggimento Azov hanno filmato i bambini e le mamme nei cunicoli. Caramelle, sorrisi, batti il cinque, «non vogliamo morire qui dentro», «vogliamo andare a casa». Se non ti si stringe il cuore, a vederli, sei di latta. E conta nulla la politica, l’ideologia neonazista che ispirava il battaglione Azov quando nacque. Ci sono persone in trappola, là dentro, con le macchinine e le bambole.
E invece anche ieri sono saltati pure quei finti cordoni umanitari che si prova a organizzare. Porterebbero via poche migliaia dei 120mila civili che si stima siano ancora in città, ma niente da fare. I pullman russi dovevano aspettarli al punto di raduno, invece c’erano i soldati a mandar via tutti, «sentite che si spara? Andate via, non è sicuro». Ma duecento metri più in là i pullman sono spuntati e i civili li hanno caricati, ma per un’altra destinazione: secondo le autorità cittadine li avrebbero portati a Dokuchaevsk, nei territori occupati.
Sempre Zelensky, ieri, ha detto che per i resistenti dell’Azovstal non ci sono novità: né negoziati, né blitz. «Per ora non ci sono le condizioni per rompere l’assedio, e i loro comandanti lo sanno». Ha detto di avere parlato con i capi del reggimento Azov dentro l’acciaieria poco prima di iniziare la conferenza stampa. Se ci sarà un massacro, ribadisce, salterà qualsiasi possibilità di negoziare la fine di questa pazzia. «E io voglio rivedere il sole», dice il bimbonell’acciaieria.