La Stampa, 24 aprile 2022
La fine della bolla tech
Tre settimane di fila in ribasso non si vedevano dalla fase più severa della pandemia. Ora il comparto Big Tech si domanda quale sarà il fondo. L’impressione, come rimarcato da Wells Fargo, è che la bolla Tech sia in procinto di scoppiare. Da inizio anno a oggi l’indice Nasdaq ha ceduto il 17,93%, risultando il peggiore dei listini di Wall Street. La prossima settimana Alphabet, Amazon, Apple e Meta presenteranno i conti del primo trimestre. E secondo le previsioni, come spiegato da Bloomberg Intelligence, saranno i peggiori dell’ultimo lustro. A peggiorare la situazione, il nuovo giro di vite dell’Unione Europea sulla gestione dei contenuti online, arrivato ieri dopo sedici ore di negoziazioni.
I numeri
Negli ultimi due anni pandemici, il settore legato al web è stato tra i vincitori morali. Ora è messo in discussione. «Siamo di fronte a un ribilanciamento netto», ha fatto notare Société Générale due settimane fa, anticipando una tendenza frutto di una pandemia sempre meno incisiva nelle economie avanzate. «Le minori restrizioni applicate dai Paesi, il tasso di vaccinazione elevato e una sostanziale endemizzazione del Covid-19 stanno spingendo le persone a contare sempre meno sull’intrattenimento digitale», spiega un report di Evercore. Alla luce di ciò, anche al netto della crisi dei semiconduttori che ancora rallenta la filiera, c’è meno euforia intorno alla tecnologia. Ne deriva che tante quotazioni che finora continuavano a ritoccare i massimi, da Apple a Zoom, passando per Cisco e Microsoft, hanno subìto una frenata. «Fisiologica, sì, ma comunque intensa», dicono di analisti di Toronto Dominion.
Sul fronte più operativo, la risposta al combinato disposto fra uscita della pandemia, conflitto in Ucraina e rallentamenti nelle catene globali di approvvigionamento è stata netta. Ed è stata negativa. La corsa al ribasso potrebbe non essere terminata. La prossima settimana saranno presentate le trimestrali dei cosiddetti Faang (Facebook, Amazon, Apple, Netflix, Google). A oggi, secondo gli indicatori di Bloomberg, solo Apple continua a essere in nero. In rosso sono la proprietaria di Fb, Meta Platforms (-45,3% da inizio anno), così come la casa madre di Google, Alphabet (-17,4% nello stesso periodo), e Amazon (-13,4%). La peggiore è Netflix, -64,2% dal primo gennaio a oggi, che sconta una concorrenza senza precedenti sul fronte dello streaming. Ed è questa la prima possibile vittima nel lungo periodo, secondo Filippo Diodovich, senior market strategist di IG Markets. Ma esistono ancora delle opportunità. «Un nome è molto facile da individuare, vista la crescita e l’enorme capitalizzazione. Vale a dire, la Tesla di Elon Musk», spiega Diodovich. Ma ci sono anche, rammenta, «i gruppi di semiconduttori come Intel, Nvidia e Amd», che si riprenderanno a breve.
Sono previsti in parziale ritracciamento rispetto al 2021 gli utili per azione (Earnings per share, o Eps), misura emblematica della solidità finanziaria del trimestre di competenza. Nel caso di Alphabet, l’Eps registrato a dicembre è stato di 30,69 dollari, ma quello previsto per la prossima settimana è di 26,15; Meta aveva fatto segnare 3,68 dollari per azione di utili tre mesi fa, ma potrebbe scendere a 2.57 dollari il prossimo 27 aprile; Apple è proiettata per un Eps di 1,43 dollari, a fronte dei 2,1 dello scorso trimestre; da definire la situazione di Amazon, che nell’ultima trimestrale aveva fatto segnare un Eps di 27,81 dollari e il 28 aprile potrebbe uscire sotto quota 9 dollari, a quota 8,44. Tutti segnali che, come rimarca Wells Fargo, lasciano intendere che l’euforia dietro al Big Tech sia terminata.
Le mosse dell’Ue
A influenzare l’andamento dei titoli potrebbero esserci anche le azioni dell’Ue. Annunciate da tempo, ora entreranno a regime. Dopo lunghe trattative, è stato approvato il Digital Services Act (Dsa), che impone alle Big Tech una maggiore responsabilità sui contenuti che vengono pubblicati sulle loro piattaforme online. Un accordo considerato «storico» dalla presidente della Commissione Ue, Ursula von der Leyen, e che aggiornano la direttiva comunitaria sull’e-commerce datata 2000, quando le Big Tech erano ancora allo stato embrionale. L’obiettivo è di contrastare l’hate speech, la disinformazione e altri contenuti dannosi online, imponendo alle compagnie del web di vigilare in modo più zelante, rendendo più semplice la segnalazione dei problemi e supportando le autorità di regolamentazione a punire l’inosservanza delle norme con multe o limitazioni all’operatività. Elemento che potrebbe essere cruciale per realtà come Facebook, Instagram e Google, che dovranno investire risorse nella gestione dei contenuti finora passati inosservati. E, in caso contrario, rischieranno sanzioni fino al 6% del loro giro d’affari annuo globale o di incappare nel divieto di operare sul suolo europeo. —