La Stampa, 24 aprile 2022
L’arte impossibile di arrendersi
Platone giudiziosamente raccomandava di proibire nello stato ideale la lettura dei poemi di Omero; perché trasmettevano ai cittadini «idee false riguardo alle questioni umane e divine», una di queste idee false e pericolose era la concezione dell’eroe che combatte fino alla morte per il desiderio della gloria e dell’onore. Che preferisce perire piuttosto che arrendersi anche quando la sua morte appare inutile. Mark Twain accusava Walter Scott di essere tra i responsabili del macello della guerra civile americana. I suoi romanzi cavallereschi avrebbero modellato le genti del Sud spingendole a una guerra gloriosa fino all’inutile sacrificio. Questo mi è venuto in mente attendendo, invano, ogni giorno, da settimane la notizia della resa dei difensori della acciaieria Azovstal a Mariupol dove la battaglia divora vite tra le rovine di una città che ha gli edifici rotti come gusci. Invece loro sembrano decisi a immolarsi, temo purtroppo trascinando nel proprio destino anche i civili rinchiusi nei sotterranei del complesso industriale e che non hanno più alcuna possibilità di modificare il corso della battaglia o di ricevere aiuti dagli ucraini.
Questo fazzoletto di undici chilometri quadrati sporchi di tutti i sudiciumi della guerra si abbranca alla grandezza della volontà di non alzare bandiera bianca. Aleggia la puzza di imbalsamazione eroica, di sepolcri che rimettono in piedi i vecchi miti dei combattenti martiri. I difensori di Mariupol, nazisti o non nazisti che siano, sono in preda alla chimera della eternità, della bella morte.
C’è in questo feroce frammento della guerra qualcosa di cui aver paura. Sognatori e saturi di notte tengono insieme la loro vita e quella a cui costringono civili, donne, bambini. Anche loro lì, sottoterra, con le onde sonore che penetrano nelle orecchie negli occhi, nel cervello e sbatacchiano i corpi in un violento tremore. Loro che obbligo hanno di diventare semidei, martiri morti in battaglia? Chi ha chiesto a questi sventurati nel misterioso mondo del campo di battaglia di convincere, sacrificandosi, gli altri che la loro causa è sacrosanta e quindi è onorevole morire in suo nome? La grandezza dei miliziani di Azovstal semmai non sarebbe proprio nell’arrendersi per dare ai civili, almeno a loro, qualche possibilità di salvarsi?
Speravamo di essere entrati in un età finalmente anti eroica. Eppure l’onore militare riveste ancora un ruolo importate negli eserciti, soprattutto tra le forze speciali. Il codice di condotta dei marines che risale agli Anni Settanta detta: «Non capitolerò mai volontariamente. Quando sarò al comando non capitolerò mai per i miei uomini se essi avranno ancora la possibilità di opporre resistenza».
Non so se i miliziani ultranazionalisti abbiano mai letto l’avvertenza di Omero, (mi pare che il loro comandante abbia affermato semmai di frequentare le pagine di Kant!), e che questa ostinata volontà di non capitolare sia davvero legata alla ricerca omerica della fama, perché solo il coraggioso avrà la consacrazione del ricordo e non tornerà nel nulla inghiottito dal buio eterno dell’oblio.
O non sia piuttosto la loro una non scelta, un eroismo obbligatorio: perché nella tragedia grande della guerra ucraina Mariupol sembra essere una scaglia che custodisce in sé un frammento particolare di odio e di veleni. Che insomma sia anche guerra civile, il regolamento di conti tra gli uomini della Azov, nazisti forse non soltanto per la propaganda russa, e gli abitanti del Donbass che hanno scelto il campo russo, altrettanto spietati.
Sono stati otto anni di feroce guerra civile, dove la pietà viene dopo e la prima cosa che conta è uccidere e vendicarsi, cancellare il nemico. E quindi per loro non esiste quell’arte della resa, capitolare, consegnarsi al nemico, che nel corso dei secoli ha modellato o cercato di disciplinare quello che è stato definito non a caso l’atto archidemico della guerra. Sanno cioè che il loro destino non è quello di prigionieri ma di esser giustiziati, massacrati in nome della vendetta. Questo è Mariupol, un luogo che esisterà in un lungo istante di violenza che va al di là di qualsiasi immaginazione.
Quindi ad Azovstal niente prigionieri che ridono felici di esser sfuggiti alla sgherraglia e laceri, pallidi domandano per prima cosa a chi li ha catturati un pezzo di pane dal momento che è sospeso l’obbligo reciproco di uccidersi. In costoro di colpo è come se non ci fosse più nessuna traccia di forza.
Ho assistito in Siria alla resa di una decina di soldati di Assad. Stavano per entrare in una prigione di cui non riuscivano a immaginare fino in fondo la legge; l’impotenza era in loro, speravano di abituarsi a una docile schiavitù: che cosa ci succederà? Che cosa non ci succederà? Non so se siano sopravvissuti, forse appena sono partito sono stati giustiziati. Anche lì una guerra civile. Come quella in Ucraina per le brutalità di cui esistono già ampie testimonianze non siamo più in quelle che sono le guerre «sistemiche» ovvero combattute secondo alcune regole ma entriamo nel buio del conflitti, in cui come si diceva nel Medioevo, non si dava quartiere al nemico, lo si sterminava. Siamo nel modo della violenza assoluta. Eppure non dimentichiamo che in quei secoli che definiamo bui gli eserciti che intendevano non fare prigionieri usavano alzare un labaro rosso prima della battaglia. Siete avvertiti, non perderemo tempo a raccogliervi, quindi combattete anche voi fino all’ultimo respiro…
Non credo alla teoria secondo cui la ostinazione dei difensori della acciaieria sia legata alla consapevolezza di obiettivi politici della loro guerra estrema, che farsi uccidere offrirebbe ai loro commilitoni il tempo per allestire nuove difese e priverebbe Putin dell’esibirli come trofeo nella città conquistata. I soldati combattono o si arrendono per una considerazione molto più elementare: il calcolo delle probabilità di perdere o conservare la vita. Nel momento in cui getta le armi il vinto è in totale balia del vincitore, la sua vita è affidata alla sua clemenza e non dipende più da se stesso. Allora come esser sicuri che dopo la capitolazione tutto si svolgerà pietosamente, hai perso poteva toccare a me...? Nei diari dei soldati anche di eserciti molto disciplinati come inglesi e americani in Iraq non mancano certo i casi in cui non si sono fatti prigionieri. Perché un minuto prima quelli che ora ti guardano con le braccia alzate e sono nelle tue mani, hanno ucciso il tuo miglior amico o hanno tentato di ucciderti. Perché non vendicarsi, subito mentre è ancora possibile? Tutto finirà nel calderone della guerra.