La Stampa, 24 aprile 2022
I bambini in trappola nell’acciaieria Azovstal
Pareti verdi, libri da colorare. C’è la scritta «bambini» sui muri, ma non è un asilo, è l’infanzia all’inferno. Non si può correre, non si può saltare. È la peggiore delle prigioni. E loro ci vivono da mesi senza vedere la luce del sole. Sottoterra, nei bunker dell’Azovstal, la stanza dei giochi è l’ultima minima parvenza del mondo di sopra. L’ultimo respiro di fantasia, nel tempo sospeso che potrebbe portarli tutti alla morte, se i civili non verranno evacuati al più presto, mentre i soldati provano a resistere.
Il video diffuso ieri dal Battaglione Azov mostra un gruppo di ucraini, grandi e piccini, rifugiati nell’acciaieria di Mariupol. È uno di quei film destinati a imprimersi per sempre nella nostra mente. Una sequenza di immagini che ha fatto il giro del mondo e che si somma ai simboli della guerra in diretta che stiamo vivendo. Iconografia come le gestanti bombardate, le signore anziane che non riescono neppure a scappare dalla loro casa a Irpin, dei peggiori orrori del conflitto scatenato da Putin il 24 febbraio scorso, con l’invasione dell’Ucraina.
Le immagini sono un pugno allo stomaco, i dialoghi peggio: «Abbiamo giocato col telefonino, ma vogliamo vedere la luce, vogliamo tornare a casa, vedere i nostri parenti, rivogliamo le nostre vite», dice un piccolo davanti alle telecamere. Avrà dieci anni. Prova a spiegare a chi lo sta riprendendo che non ne può più. Non ne può più, e non sa che altre parole usare.
Come si fa a stare murati vivi da settimane, con le bombe nelle orecchie e, come racconta una delle testimoni, «con la paura anche di andare in bagno»? La sopravvivenza è un istinto, ma come possono dei bambini sopportare tanto? Diventare ostaggi seppelliti vivi della resistenza di un popolo? «Dal 2 marzo siamo qui», spiega una donna coi capelli lunghi, che tiene una bimba in braccio. «Vogliamo davvero tornare a casa, ma a quanto pare non c’è più. Speriamo in un corridoio umanitario, non abbiamo più cibo». Un’altra racconta che loro, i prigionieri dell’acciaieria, sono «al limite della fame, tutte le provviste stanno finendo. Presto non avremo nemmeno più il pane per loro», e indica i figli.
Cinquanta giorni sottoterra, senza respirare aria fresca e vedere il sole mai, è qualcosa di difficile anche solo da immaginare. Ti ammali, fisicamente e psicologicamente, anche se ti sembra di avere ancora la forza per sorridere. Nel video si sente dire che più di 15 bambini, dai neonati fino ai 14enni, si stanno rifugiando nell’Azovstal. I cunicoli riscaldati e attrezzati addirittura per resistere ad un attacco nucleare sono stati trasformati da quasi sessanta giorni in una soffocante tana per conigli in gabbia. C’è chi è lì dal 25 febbraio, una bimba spiega di essere uscita di casa insieme alla mamma e alla nonna il 27 febbraio scorso. Confessa di desiderare solo una cosa, di fuggire a Leopoli, dove si troverebbe uno dei fratelli. «Voglio andare là – dice – per essere al sicuro. Non voglio rischiare di uscire solo per essere colpita dai frammenti di una bomba», aggiunge. Il tono di un altro piccolo è uno strazio di pura tristezza: «Da due mesi mi trovo qui dentro. A volte accendono e spengono la luce. Ma io voglio vedere il sole. Quando le case saranno ricostruite, potremo vivere in pace. È meglio che l’Ucraina vinca, perché questa è la nostra casa».
I media internazionali, dalla Bbc alla Cnn, non sono stati in grado di verificare l’attendibilità del filmato divulgato dagli ultimi combattenti che difendono Mariupol. Nel giorno in cui è stato girato il video, giovedì scorso, Mosca ha dichiarato la vittoria sulla città del Sud Est. Ha issato la bandiera sulla torre della tv, mentre Putin ha annullato l’assalto all’acciaieria e il suo ministro Shoigu ha sigillato l’Azovstal in modo che «nemmeno una mosca possa scappare». «Mio figlio ha bisogno di essere portato fuori di qui, in una zona tranquilla», dichiara una madre disperata. I soldati di Azov entrano nel bunker e sembrano dei Babbi Natale: portano un sacco carico di giocattoli nuovi per i piccoli. I corridoi umanitari continuano a fallire, e russi e ucraini si accusano a vicenda. Mentre «550 mila ucraini, di cui 121 mila bambini sono stati portati in Russia», denuncia la responsabile ucraina dei diritti umani, Lyudmyla Denisova. L’infanzia dei bambini nelle profondità di Mariupol viene spazzata via, mentre loro chiedono aiuto.