Il Messaggero, 24 aprile 2022
Quando Usa e Urss si strinsero la mano
Per noi italiani il 25 aprile evoca la Liberazione dal nazifascismo. Si tratta di una data convenzionale, perché le ostilità cessarono il 2 Maggio del 1945, e in quella settimana furono compiute azioni belliche da entrambe le parti. Ma per i protagonisti della seconda guerra mondiale quel giorno costituisce l’Elbe Day, quando le truppe americane incontrarono quelle russe a Torgau, sulle rive del grande fiume tedesco, e si strinsero la mano. Anche in quel caso la pace dovette attendere. Hitler si suicidò il 30 aprile e la Germania si arrese il 7 maggio. Il conflitto sarebbe continuato in Oriente, fino alle distruzioni di Hiroshima e Nagasaki e alla resa firmata il 2 Settembre a bordo della corazzata Missouri. Ma spesso i simboli sono più importanti degli atti ufficiali. E le immagini dei cosacchi che danzano al suono della balalaika davanti ai boys che dispensano chewing gum e abbracciano corpose ausiliarie sono più significative di tante declamazioni congiunte degli Stati Maggiori. Quella festa infatti attestava la sconfitta della Germania, e annunciava l’imminente ritorno a casa.
L’incontro sull’Elba fu l’inevitabile epilogo di un capitolo scritto il 6 giugno dell’anno precedente, quando gli angloamericani erano sbarcati in Normandia, e avevano consolidato la testa di ponte. Sul fronte orientale i tedeschi avevano inflitto ai sovietici perdite terribili – alla fine i morti sarebbero stati sette milioni di militari e tredici di civili ma avevano subito sconfitte cocenti da Stalingrado, a Kursk. L’ostinazione di Hitler nel difendere ogni palmo di territorio aveva isolato intere armate, provocando il loro annientamento e l’impossibilità si sostituirle.
SFONDAMENTO
Nella primavera del 44 l’Armata Rossa aveva sfondato il fronte in vari settori, e presto sarebbe arrivata alle porte di Varsavia, dove avrebbe assistito, imperturbabile, alla sanguinosa repressione della rivolta polacca da parte delle SS. Malgrado queste disfatte, l’esercito tedesco era ancora formidabile: teneva 50 divisioni in Francia, 20 in Italia, ed altre decine dai Balcani alla Norvegia. Con un’accorta strategia difensiva Hitler avrebbe potuto prolungare la guerra per anni. Ma con lo sbarco sulle spiagge di Omaha e di Arromanches le cose cambiarono: dopo due mesi di furiose battaglie nel bocage normanno le truppe del generale Patton dilagarono attraverso la pianura francese e in poche settimane arrivarono al confine alsaziano. Ormai la Wehrmacht era schiacciata tra due fronti, mentre l’aviazione alleata martellava giorno e notte le città, le industrie e le vie di comunicazione tedesche.
LE ARDENNE
Nel dicembre del 1944 Hitler tentò nelle Ardenne il suo ultimo colpo di coda. Sottraendo preziose risorse agli altri teatri operativi e raschiando il fondo delle risorse umane e materiali, attaccò il velo di truppe disseminate in quella zona boscosa, cogliendo gli americani di sorpresa. Ma per il sanguinario dittatore fu un altro disastro: dopo un mese la controffensiva alleata ricacciò al di là del Reno quel poco che restava delle tre armate naziste impegnate e dissanguate. La Germania era ormai condannata.
LA LOGISTICA
I russi approfittarono di questa occasione per riorganizzarsi, e consolidare le linee di comunicazione ormai troppo avanzate: la logistica era sempre stato il loro punto debole, e lo rimane anche oggi. Accumularono una massa immensa di uomini, mezzi corazzati e artiglieria. Lo stesso fecero gli angloamericani. Così, nel marzo del 1945, entrambi scatenarono quasi contemporaneamente le offensive finali. Patton attraversò il fiume il giorno 22, precedendo di poco il maresciallo Montgomery, che aveva atteso prudentemente di concentrare in un settore limitato una maggioranza schiacciante. Patton voleva puntare direttamente su Berlino, ma fu fermato da Eisenhower, il comandante in capo. A Yalta si era deciso che l’onore toccasse ai russi, e comunque non era il caso di sacrificare migliaia di vite americane per una conquista di puro prestigio. Dall’altra parte, Stalin mise in competizione i suoi marescialli, e alla fine l’abile Zukov precedette il comandante del primo fronte ucraino, Ivan Konev, il liberatore di Leopoli e di Auschwitz.
A Konev fu ordinato, come a Patton, di puntare più a sud. Fu a causa di questa deviazione che le sue truppe, anche se non ottennero l’onore di issare la bandiera rossa sul Reichstag, ebbero quello di congiungersi per prime con quelle americane. Patton entrò vittorioso a Pilsen, in Cecoslovacchia, e ricevette l’ordine di fermarsi, e di far marcia indietro. Konev, al contrario, avanzò ancora: Roosevelt, a Yalta, aveva accettato di lasciare ai russi metà della Germania. Nel frattempo le cineprese di mezzo mondo avevano filmato lo storico evento dell’incontro tra russi e americani: il settore operativo era secondario, e le truppe abbastanza sbracate. Ma la stretta di mano e l’abbraccio tra i soldati di leva valeva di più di una solenne parata.
L’EPILOGO
L’amicizia fraterna tra vincitori durò poco. Finta la guerra, Stalin si prese, o meglio si tenne, tutta la zona occupata dai suoi soldati: si ritirò da Vienna in cambio di una neutralità disarmata, ma instaurò in tutta l’Europa orientale quei regimi fantoccio che sarebbero durati fino alla caduta del muro di Berlino. I democratici, gli oppositori e in genere i dissenzienti furono imprigionati nei gulag o impiccati dopo processi sommari. La cortina di ferro aveva sostituito il cameratismo di Torgau.
Con il crollo dell’Urss le cose cambiarono. La data del 25 Aprile, Elbe Day, fu ripristinata come simbolo di vittoria, di amicizia e di pace. Delegazioni militari americane e russe rinnovarono, con brindisi e sfilate, l’esultanza di quell’evento clamoroso. Nel 2010 i presidenti Obama e Medvedev, con una dichiarazione congiunta, rievocarono lo «spirito dell’Elba», e tutti ritennero che le celebrazioni per la vittoria nella guerra calda avessero sepolto definitivamente i ricordi di quella fredda. Come sappiamo, è andata diversamente.
COME HITLER
Nella dichiarazione di due mesi fa, annunciando l’operazione speciale, Putin ha riscritto al storia a suo uso e consumo, addebitando a Lenin e ai comunisti (lui, ex ufficiale del Kgb!) la colpa di aver distinto e separato l’Ucraina dalla santa Russia e rivendicando il diritto di riprendersela, con le buone o con le cattive. Ha usato le stesse argomentazioni con cui Hitler aveva rimilitarizzato la Renania, occupato l’Austria, imposto l’incorporazione dei Sudeti e infine preteso il corridoio di Danzica scatenando il più spaventoso conflitto dell’umanità. Ed è un paradosso della Storia che l’attuale resistenza all’aggressione del satrapo moscovita avvenga proprio sul fronte ucraino, il cui comandante incontrò a Torgau gli alleati americani, dopo aver sconfitto il nazista invasore.