Robinson, 23 aprile 2022
Biografia di Amelia Rosselli
Madre di Carlo e Nello, zia di Moravia e nonna della poetessa che porterà lo stesso nome, fu la prima donna a iscriversi alla Siae. Che oggi, a 140 anni dalla fondazione, ci apre gli archivi di quella storia. Fatta di artisti, intellettuali, libertà e antifascismo
Più di un secolo fa, per una scrittrice che volesse farsi spazio in un mondo dominato dagli uomini, difendere la proprietà intellettuale delle sue opere era qualcosa di più di una garanzia economica, era l’atto simbolico del riconoscimento di una professionalità. Con quello spirito, Amelia Pincherle Rosselli, madre degli antifascisti Carlo e Nello, tra i fondatori di Giustizia e libertà, deve essersi decisa a chiedere nel 1898 l’iscrizione alla Società italiana degli Autori, fondata a Milano il 23 aprile del 1882, centoquaranta anni fa. Di fatto Amelia è stata tra le pioniere, insieme a Annie Vivanti, bestsellerista in auge durante il fascismo, della nascente Siae, allora solo Sia, della quale facevano parte Giuseppe Verdi e Giosuè Carducci, Francesco De Sanctis e Edmondo De Amicis. Negli archivi Siae è conservato un suo manoscritto, il dramma Anima, storia di una pittrice violentata in giovinezza che le diede una grande fama, confermata qualche anno dopo da Illusione e dalla popolarità di alcuni libri per l’infanzia.
Amelia, guardatela in fotografia, aveva uno sguardo volitivo e un sorriso mite che era il tratto di un’educazione che stemperava solo apparentemente una determinazione fuori dal comune. Era nata a Venezia nel 1870 in una famiglia ebraica agiata che aveva partecipato sia in linea paterna (Pincherle Moravia) che materna (Capon) ai moti risorgimentali e che le aveva trasmesso quelle robuste virtù civiche con le quali nutrirà i figli Aldo, Carlo e Nello. Giovane colta e libera, a Roma incontra Giuseppe Emanuele Rosselli, per tutti Joe, musicista, liberale come lei, appartenente a un’altra famiglia ebraica nutrita di ideali risorgimentali. I genitori – Sabatino Rosselli e Harriet Nathan – erano di tradizione repubblicana e liberale. Mazzini muore a Pisa a casa degli zii Pellegrino Rosselli e Janet Nathan.
Dopo il matrimonio i due innamorati si trasferiscono a Vienna, dove Joe studia composizione musicale. L’idillio però dura poco e Amelia chiede la separazione. Forse il fallimento professionale di Joe mentre lei conquistava il pubblico con Anima può avere influito sugli equilibri della coppia. Per il nipote Alberto Moravia, figlio del fratello Carlo, la zia era un punto di riferimento: «Tu sei stata in qualche modo la mia ispiratrice: ancora quando ero piccolo tu mi hai incoraggiato a continuare per questa via – e se ho fatto qualche progresso lo devo in qualche modo a te» ( Alberto Moravia, Lettere ad Amelia Rosselli, Bompiani).
Ma è come madre che infrange ogni stereotipo di genere, come racconta Patrizia Gabrielli, docente di Storia contemporanea e Storia di genere all’università di Siena, che ad Amelia ha dedicato un saggio pubblicato sulla Rivista storica del socialismo ( Biblion Edizioni): «Fin da ragazza Amelia mostra interesse per le questioni sociali, non vive mai ripiegata nel privato. Quando dopo il divorzio si trasferisce con i figli a Firenze, la loro casa, dove si riunisce il gruppo della rivista antifascista Non mollare, diventa il cuore dell’antifascismo. Quando penso a lei mi viene in mente un’altra madre, Ada Prospero Gobetti, che condivise con il figlio Paolo la lotta partigiana». È proprio questa compenetrazione di pubblico e privato, fa notare Gabrielli, il cuore dell’antifascismo. L’ester-nazione civica di Amelia è agli antipodi della «mobilitazione delle masse dall’alto e del familismo amorale italiano», è il contrario di ogni politica eterodiretta, l’esatto opposto del popolo gregge di cui si nutrono le dittature. Amelia rivoluziona il ruolo di madre: non più la genitrice accudente chiusa in una dimensione intima ma la donna che educa i figli alla responsabilità pubblica, pur sapendo che corrono rischi. La libertà di pensiero è più importante dell’obbedienza. Amelia è una madre severa ma vuole che i figli maturino autonomamente una propria etica: «Sii te stesso», scrive a Carlo. Per questo non le calza del tutto l’immagine angelicata che ne restituivano Piero Calamandrei e Gaetano Salvemini, che Gabrielli cerca di arricchire: «Quel tratto, che aveva evidenziato anche Leo Valiani, non ne restituisce la complessità, così come non la descrive a pieno l’espressione “madre coraggio”».
Non è una femminista Amelia, ma partecipa al Lyceum femminile di Firenze, un’associazione culturale che svolge un’attività a favore delle donne per favorirne l’istruzione. Tra le tante battaglie vinte, la più bella forse è la biblioteca circolante per le maestre rurali: «Il tema dell’elevazione della donna, come si diceva allora, era fondamentale e aveva radici nella cultura mazziniana», spiega Gabrielli. Lo stesso vigore democratico la vede promotrice di altre iniziative, tra cui l’Esposizione di lavori femminili che si tiene a Roma o l’Associazione divulgatrice donne italiane, che fonda insieme all’amica Gina Lombroso. Sul suffragio universale femminile è inizialmente cauta ma solo perché lo considera un atto così responsabile da richiedere una preparazione.
Nel villino Giusti, la casa fiorentina dei Rosselli, Amelia cura ogni particolare dell’arredamento del suo studio, a partire dalla scrivania, un tavolo decorato con archi gotici corredato da una sedia savonarola. È il suo regno. La sua stanza tutta per sé, il marchio della sua indipendenza. Anche per questo le piace farsi fotografare mentre legge o scrive, per «autorappresentarsi come una donna che ha una professione» (Gabrielli). È una donna moderna, emancipata. Perderà tutti i figli: Aldo nella grande guerra, Carlo e Nello in Francia, uccisi a Bagnoles- de- l’Orne il 9 giugno del 1937. La sofferenza però non le impedisce di continuare ad essere un punto di riferimento per le nuore Maria Todesco e Marion Cave e per i nipoti, tra cui la tormentata Amelia, la futura poetessa, con cui ha un’intesa speciale. Per Paolo Bagnoli, studioso dell’antifascismo e dei fratelli Rosselli, è ancora lei il perno della famiglia: «Amelia non cede allo strazio del dolore ma continua a lottare per l’idea di Italia democratica a cui crede. Nell’esilio inglese e americano, tiene unita la famiglia e continua nel proprio impegno, considerato un assoluto morale e un atto d’amore per l’Italia».