La Lettura, 23 aprile 2022
Scuola, i consigli di Giorgio Parisi
«No, io in verità non ho mai copiato a scuola. Erano i compagni che si erano organizzati per copiare da me: ce n’era uno bravissimo a decifrare la mia cattiva scrittura, si metteva dietro e poi passava agli altri. Siamo ancora amici con Tommaso».
Sorride divertito ricordando i tempi del liceo Giorgio Parisi, 73 anni, Premio Nobel per la Fisica nel 2021 «per la scoperta dell’interazione fra disordine e fluttuazioni nei sistemi fisici dalla scala atomica a quella planetaria». Prima del Nobel, della medaglia Max Planck, del Premio Wolf per la Fisica e dei mille altri riconoscimenti tra cui la presidenza dell’Accademia dei Lincei e un asteroide che porta il suo nome, Parisi è stato uno studente del San Gabriele di Roma dove ha preso la maturità scientifica nel 1966 per poi laurearsi in Fisica alla Sapienza nel 1970.
Uno straordinario studioso italiano, una superstar che sta alla Fisica come Bob Marley al reggae o Maradona al calcio solo per fare visualizzare il valore di Parisi a chi ha poca dimestichezza con la fisica ma anche per accendere l’attenzione di migliaia di studenti delle scuole secondarie di tutta Italia collegati con lui via web il 31 marzo in occasione di Costruiamoci il futuro, iniziativa che fa parte della serie Insieme per capire organizzata da Fondazione Corriere della Sera-Esselunga-Amici di Scuola (fondazionecorriere.corriere.it).
Un’ora e 45 minuti di dialogo a distanza con 15.658 ragazzi appartenenti a 780 classi di 280 istituti, studenti dai 14 ai 18 anni che in diretta hanno potuto rivolgere domande al Nobel. L’obiettivo era stimolare i ragazzi a «conoscere»: perché solo la conoscenza e la cultura permettono di capire, avere gli strumenti per scegliere ed essere davvero liberi. Ecco com’è andata l’«interrogazione».
Professore, che cosa l’ha spinta a studiare Fisica? Qual è stato il suo percorso di studi? Cosa ha provato quando ha vinto il Nobel? (3 A – Liceo scientifico e scienze applicate Andrea Maffei, Riva del Garda, Trento).
«Una grande gioia. Ho ricevuto la telefonata del Nobel tre quarti d’ora prima della proclamazione: mi ero tenuto i telefoni vicini su suggerimento di Fabiola Gianotti (da gennaio 2016 direttrice del Cern di Ginevra, ndr). Sapevo che poteva essere il mio turno ma non avevo più del 20% di possibilità. Speriamo che non sia uno scherzo, ho pensato quando ho risposto. Per vincere un Nobel serve anche fortuna. Le decisioni di studiare una cosa invece di un’altra a volte avvengono per caso. Poi è un po’ come fare gol: ricevere la palla buona e tirarla al momento giusto. Quando ho letto la motivazione breve per cui mi assegnavano il premio ero un po’ sconcertato; poi quattro giorni dopo, quando sono arrivate le motivazioni complete, ho capito meglio. Mi sono occupato di tantissime cose negli anni: dalla scala atomica con gli Spin fino ai problemi di glaciazione su scala planetaria. A 26 anni avevo già rischiato di vincere il Nobel ma avevo fatto una stupidaggine. Una tra le cose più difficili nella scienza è decidere dove spendere il proprio tempo, scegliersi i problemi: non devono essere né troppo difficili né troppo facili.
«Ho deciso di studiare Fisica nell’estate del 1966, dopo la maturità; i miei genitori volevano che facessi Ingegneria ma in realtà non avevo mai pensato davvero cosa fare. Ingegneria edile (conoscevo solo quella) non mi pareva interessante e sono stato indeciso tra Matematica e Fisica. Diciamo che la figura di Enrico Fermi mi ha indotto a scegliere. Forse oggi mi iscriverei a Biologia: è molto interessante e ricca di prospettive.
«Sono andato all’estero quando già ero ricercatore, tre anni dopo la laurea. L’Italia ha la capacità di preparare buoni studenti nelle materie scientifiche al pari degli altri Paesi. L’università italiana però ha zone di enorme eccellenza e zone un po’ disastrate. È deprecabile laurearsi, che so, a Roma e rimanerci per tutta la vita. Stare due anni a New York e uno a Parigi è stato utilissimo. Sono diventato professore ordinario a 32 anni. Perché non succede più? In altri Paesi sono aumentati gli investimenti in ricerca e sviluppo, in Italia dal governo Berlusconi del 2008 (e fino al 2016) abbiamo subito una forte contrazione dei fondi per la ricerca. Con i tagli abbiamo perso 20 mila posti per i giovani. Se si tagliano i fondi, i più brillanti vanno all’estero e l’età media dei docenti aumenta. Se per vent’anni si fanno pochissime assunzioni non c’è ricambio generazionale. I tagli del 20% sulle spese per l’università fatti nel 2008 sono stati disastrosi».
I programmi ministeriali sono in linea con la sua visione di insegnamento e di apprendimento della scienza? (3 E – Liceo scientifico Giulietta Banzi Bazoli, Lecce).
«Ci sono diversi modi di presentare la scienza. Bisogna evitare il modo da imbonitori, ma cercare di far capire le cose. Per comprendere la scienza ci vuole tempo: non puoi spiegare in cinque minuti cose apprese in due anni. La scienza usa linguaggi estremamente specializzati, lingue e alfabeti originali. Bisogna fare un grande sforzo di traduzione; e molti non lo fanno. La scienza nelle scuole segue programmi a volte un po’ nozionistici. Sono programmi vecchiotti, che devono essere cambiati. La cosa che manca in generale è spiegare il metodo scientifico. È fondamentale comprendere come nella realtà gli scienziati arrivino alle conclusioni. Caratteristica della scienza è che ogni volta che fa un’affermazione dà il suo limite di validità: stabilisce qual è l’incertezza sulla predizione. Tutte le scienze, tranne la matematica, hanno uno studio di questa incertezza. Il grosso del lavoro è stabilire i limiti della predizione, l’affidabilità della predizione».
Che cosa ne sarà di noi e del pianeta con tutto l’inquinamento che stiamo producendo nel mondo? (3 SC – Liceo linguistico e delle scienze umane James Joyce, Ariccia, Roma).
«I cittadini devono essere consapevoli dell’enorme problema dell’inquinamento e della riduzione delle risorse sul pianeta che va di pari passo con il cambiamento climatico. Questa coscienza deve indurre a votare partiti sensibili a questi temi: sono i governi e i Parlamenti che devono decidere. In molti casi l’inquinamento si può combattere. Un tempo le automobili inquinavano molto di più: è necessario investire nella ricerca scientifica per nuove soluzioni. L’inquinamento è qualcosa che coinvolge tutti: serve una forte solidarietà. La soluzione è possibile solo in un mondo coeso, non diviso da forti diseguaglianze. Il problema dell’inquinamento è legato a un problema di giustizia sociale. Le persone che inquinano di più devono essere quelle che riducono di più il loro livello di inquinamento. Serve un sostegno della scienza e una ferrea volontà politica. Bisogna diminuire i consumi. Due cose da fare di pari passo: inventare nuovi modi di produrre energie rinnovabili (produrre carburanti direttamente da piante, solo per fare un esempio) e ridurre i consumi. Consumiamo un quinto dell’energia per riscaldare le case d’inverno e raffreddarle d’estate: possiamo fare i “cappotti” alle case, cambiare gli infissi, renderle buone da un punto di vista energetico e anche abbassare il termometro del termosifone d’inverno e l’aria condizionata d’estate.
«Se pensiamo che sia possibile combattere il cambiamento climatico lasciando la casa sempre a 23 gradi le cose non funzionano. Serve una scelta personale e un aiuto dello Stato. Una cosa sono l’ecobonus e il provvedimento del 110% sul rifacimento delle facciate, altra cosa è aiutare le persone ad attuarli. Se guardo da Google Maps i tetti di Roma, vedo che il numero delle case con impianti solari è bassissimo. Bisogna trovare un sistema di leggi efficaci per organizzare risparmi energetici fondamentali.
«La scienza è come i fari di un’auto di notte: servono per vedere, ma le decisioni le deve prendere il guidatore. Non occorre uno scienziato per capire che sui tetti di Roma non ci sono pannelli solari. Gli interessi economici muovono tantissime scelte: spesso i politici sono concentrati sulle prossime elezioni, non sull’idea di Paese dei prossimi quindici anni. Il fiato corto della politica impedisce la formazione di una visione. Sono quarant’anni che gli scienziati mettono in guardia sul cambiamento climatico: solo adesso si vedono provvedimenti appena efficaci».
Lei ha studiato il cinese. Quale ideogramma ha trovato più difficile da imparare? (2 TGA – Istituto di istruzione superiore Da Vinci-Ripamonti, Como).
«Le poesie cinesi sono bellissime, l’arte della calligrafia è molto importante. Nel 1980 mi hanno invitato in Cina; mi sono messo a seguire corsi di cinese e ho imparato circa 500 ideogrammi. Sapevo pronunciare semplici frasi. La fisica e la poesia cinese hanno alcune cose in comune: la poesia cinese si può tradurre in italiano ma si perde la bellezza degli ideogrammi. La scienza può essere tradotta nel linguaggio comune ma certi tecnicismi si perdono, si perde un po’ di emozione e significato».
Qual è la sua opinione sull’energia nucleare? (4 A – Istituto di istruzione superiore Luigi Galvani, Milano). Pensa che l’Italia debba adottare il nucleare? (4BSA – Liceo scientifico Galileo Galilei, Trento).
«Qui è necessaria una premessa: le centrali nucleari sostenibili non sono quelle attuali, ma quelle di quarta generazione ancora alla studio. I loro prototipi saranno costruiti tra una decina d’anni. Un problema è l’enorme quantità di scorie che sopravvivono per migliaia di anni. Ora dobbiamo riflettere sul apporto costi-benefici: l’Italia è un Paese ad altissima densità abitativa, uno dei meno adatti in Europa per ospitare centrali nucleari (il terreno è molto sismico), mentre ha un’enorme quantità di sole. La cosa principale per l’Italia è spingere su iniziative di altro tipo, ad esempio il geotermico. Molto però dipenderà da come saranno le nuove centrali».
Einstein diceva: «La scienza senza la religione è zoppa, la religione senza la scienza è cieca». La fede e la religione che ruolo hanno e hanno avuto nelle sue ricerche? (2 F – Liceo classico Pietro Giannone, Benevento).
«La religione e la scienza viaggiano su binari indipendenti. La religione cerca di spiegare il mondo da qualcosa che sta fuori dal mondo, la scienza cerca di spiegare il mondo attraverso il mondo. Sono due cose completamente diverse. Questo non vuol dire che non ci possa essere una convergenza su una serie di valori. La religione è importante per dare valori che condizionano il comportamento delle persone. Poi: una cosa è la fede personale, un’altra cosa è dove va la fede».
Che consiglio dà a un ragazzo che termina ora la scuola superiore? ( 1 I – Istituto tecnico agrario statale Giuseppe Pastori, Brescia)
«Il divertimento in quello che si fa nella vita è fondamentale: proprio perché uno ha piacere a fare una cosa, ci si appassiona. Nicola Cabibbo, il mio maestro, diceva: perché dobbiamo studiare questo problema se non ci divertiamo a farlo? Una delle più grandi fortune nella vita è fare un lavoro in cui ci si diverte. E questo ovviamente dipende dalle attitudini della persona.
«In ogni caso è difficile dare consigli. Però ce n’è uno vecchissimo, che mi sentirei sempre di raccomandare: “Conosci te stesso”, cerca di capire quali sono i tuoi talenti e le tue capacità, cerca di coltivarli e costruirti un futuro per utilizzarli.
«Un altro consiglio è di non essere timidi sui propri sogni e di cercare di realizzarli. Ovviamente questo bisogna prenderlo con cura: se uno sogna di volare senza ali ma agitando le braccia non è forse la cosa migliore, ma se uno pensa che i propri sogni abbiamo una certa probabilità di realizzarsi non deve rinunciarci. La vita è una scommessa in cui la cosa migliore è sfruttare tutte le proprie potenzialità: quello che ciascuno deve fare è capire quali sono. A volte sono nascoste, uno non si rende conto di avercele e non le sfrutta. C’è chi non realizza i propri sogni per paura di essere deluso. Bisogna cercare di realizzarli senza farne di impossibili. C’è una bella frase di George Bernard Shaw che dice: “L’uomo saggio si adatta al mondo, l’uomo pazzo cerca di cambiare il mondo per adattarlo a sé stesso. Quindi tutti i cambiamenti vengono dagli uomini pazzi”».