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 2022  aprile 23 Sabato calendario

I villaggi che non ci sono più

MAKARIV «Il vuoto. Più mi guardo attorno e più sento il vuoto. Perché prima questi posti erano casa mia e adesso non sono più niente». Fedor Matsun ha 42 anni ed è un cappellano militare. In questi due mesi di guerra ha scandito il tempo con le cerimonie funebri e le benedizioni dei soldati caduti al fronte. Già questo basterebbe per piegare cuori che, come il suo, stanno in piedi a preghiere. Ma in più c’è il grande «vuoto» dei luoghi. Città che erano e che non sono più, con nomi strani che il mondo ha imparato a conoscere: Irpin, Bucha, Borodyanka, Hostomel, Horenka... E Makariv, villaggio poco nominato e molto dimenticato a un’ora e un quarto di distanza da Kiev, verso ovest.
Anche se tutti si ostinano a definirlo villaggio in realtà ha quasi 10 mila abitanti e assomiglia più a uno dei nostri piccoli Comuni. Ci sono strade intere di villette rase al suolo, lungo il corso che taglia in due il centro non c’è più un solo edificio intonso, c’è la statale che porta dritta in paese con due enormi buchi nell’asfalto all’altezza del ponte sul fiume Zdvyzh. Questo intende il cappellano Fedor quando dice che questi posti «non sono più niente».
Le bugie dei russi
Sotto un cielo carico di nuvoloni grigi ieri, proprio a Makariv, ha seppellito l’ennesimo ragazzo morto per la sua Ucraina. Scuotendo la testa, perché non capisce. «Che senso ha aver colpito i supermercati?».Azzardiamo un’ipotesi che viene da esperti militari: nelle vie in cui passano colonne di carri armati e mezzi corazzati si temono agguati dei cecchini appostati nei palazzi laterali, quindi si mira agli edifici per quello. Lui sorride con amarezza. «Non è vero. Bugie. Bombardano qualsiasi cosa. Qualsiasi. Del resto basta guardarsi attorno per capirlo».
Può darsi che per i palazzi più alti del centro se ne tenga conto, ma in effetti è difficile applicare la teoria del cecchino alle casette spazzate via di Tolstoho street, viuzza decentrata bombardata da un capo all’altro. Oleksandri Lysenko, 55 anni, ci tiene ad aprire il cancello in ferro di casa sua perché «se è chiuso sembra che sia tutto a posto». Lo spalanca. «Ecco qui». Un cumulo di macerie annerite dal fumo è tutto quello che gli resta. Accanto è rimasta la sua officina meccanica e lì dentro – fra il sollevatore idraulico delle auto, scatole di bulloni, gomme e attrezzi – ha allestito un angolo per scaldare il cibo con le bombole e un altro come giaciglio per dormire. «Fortuna che avevo portato qui le mie fisarmoniche», sorride mostrandole tutte in fila su una mensola del garage, «almeno sono salve». Dei giorni più incerti della sua vita (il 26 e il 27 febbraio) restano macerie, il filmato in cui vede il figlio che aiuta un soldato ucraino a passare dal retro e saltare la recinzione mentre tutt’attorno sparano e il giubbotto antiproiettile di un soldato russo. «Gli hanno sparato al collo, non aveva scampo».
Radere al suolo
Non ci sono più rovine né mezzi militari per le strade di Makariv; almeno quelle sono tornate quasi com’erano prima del 24 febbraio, salvo le buche e i segni delle ruspe che non sono andate per il sottile spostando tonnellate di materiali, bellici e non.
Le sedi amministrative, quelle della polizia e delle aziende sono state colpite praticamente tutte. Le abitazioni in gran parte sventrate, spianate, bruciate. Tattica della distruzione sistematica, qui come altrove. Non obiettivi militari ma civili. A Makariv ma anche nelle città che citavamo prima: Bodoryanka, Bucha, Irpin e le altre. Tutto questo è moltiplicato per mille a Mariupol, dove nella lista degli obiettivi bombardati ci sono da aggiungere parole come ospedale, teatro, scuole...
«Ricostruiremo»
Malgrado tutto la vita trova sempre la sua strada. Lo sanno bene Lyudmila Kolos e gli altri volontari del Centro Culturale comunale di Makariv che hanno distribuito cibo e acqua anche mentre i palazzi accanto a loro cadevano e le esplosioni frantumavano vetri, spostavano l’aria.
Al centro di raccolta delle derrate alimentari – anche quello semidistrutto – le persone si mettono in coda e non chiedono niente. Va bene qualunque cosa, basta tirare avanti finché il grigio e il freddo faranno spazio al cielo azzurro e al tepore della primavera, finalmente. E con il sole, è convinta Lyudmila, «arriverà anche un po’ di futuro. Quando Boris Johnson è venuto a Kiev è passato qui da noi e ci ha promesso che ci avrebbe aiutato a ricostruire Makariv. Io gli credo. Rimetteremo in piedi tutto. Lo dobbiamo a chi non c’è più e anche alla mia collega volontaria: è venuta a distribuire cibo e vita lo stesso giorno che sua madre è morta sotto le bombe».