la Repubblica, 23 aprile 2022
Gli “Stan” stanno con Kiev. La rivolta dei Paesi satellite di Mosca
MOSCA – L’offensiva in Ucraina sta aprendo delle crepe tra la Russia e i cosiddetti “Stan”, i cinque ex Stati sovietici (Kazakhstan, Kirghizistan, Tajikistan, Turkmenistan e Uzbekistan) dove Mosca tradizionalmente gode di grande influenza politica ed economica. Dopo il crollo dell’Urss, pur cercando di differenziare la loro politica estera, questi Paesi dell’Asia Centrale sono rimasti nell’orbita del Cremlino. Da qui la loro iniziale riluttanza a condannare le azioni di Vladimir Putin, pur cercando di dissociarsene.
Quando, il 2 e il 24 marzo, l’Assemblea generale dell’Onu ha messo ai voti le risoluzioni che condannavano l’“operazione militare speciale” russa, nessuno dei cinque si è schierato con Mosca: hanno votato per astenersi o non hanno votato affatto. Kirghizistan, Tajikistan e Uzbekistan hanno inoltre contestato i comunicati del Cremlino sui colloqui bilaterali che suggerivano un maggiore sostegno all’offensiva di quanto gli ex Paesi satelliti fossero disposti a concedere. Ma, man mano che i combattimenti sono andati avanti, se Dushanbe e Ashgabat hanno evitato di commentare le ostilità, i governi di Nur-Sultan, Bishkek e Tashkent hanno preso apertamente le distanze dal loro potente alleato. Hanno consentito proteste contro l’intervento militare, inviato aiuti umanitari a Kiev e difeso l’integrità territoriale dell’Ucraina. I due membri dell’Unione economica eurasiatica (Eaeu) creata nel 2014, Kazakhstan e Kirghizistan, si sono inoltre rifiutati di accettare il pagamento in rubli dei dazi doganali dalla Russia.
L’ultima sfida è arrivata dal Kirghizistan. La Commissione statale per la Sicurezza nazionale (Gknb) ha minacciato di perseguire chiunque sfoggi la lettera “Z”, il simbolo dell’offensiva in Ucraina oramai onnipresente in Russia. Potrebbe, si legge in un comunicato diffuso giovedì, «promuovere l’odio interetnico»: un crimine punibile col carcere. Una mossa adottata dopo che un negozio di costumi chiamato “Vintage 312” aveva iniziato a pubblicizzare il noleggio di uniformi militari con la “Z” cucita addosso in vista del 9 maggio, la Giornata della Vittoria che celebra la sconfitta sovietica del nazismo. Non solo. Il ministro degli Esteri ha ribadito che Bishkek sostiene una soluzione pacifica di tutte le controversie, aderisce alle norme Onu e, in particolare, al principio dell’integrità territoriale. L’Uzbekistan, invece, ha ammonito i suoi tanti migranti in Russia – le cui rimesse ammontano all’11% del Pil nazionale – che prestare servizio in un esercito straniero può costare fino a cinque anni di prigione. E, intervenendo in Parlamento, anche il ministro degli Esteri uzbeko Abdulaziz Komilov ha ribadito il sostegno del Paese all’integrità territoriale ucraina.
Ancora più eclatante è stata la presa di distanza del presidente kazako Kassym-Jomart Tokaev che aveva chiesto l’intervento dell’Organizzazione del Trattato di Sicurezza Collettiva (Csto, l’alleanza militare che coinvolge sei nazioni della Comunità degli Stati Indipendenti, Csi), per sedare le violenti rivolte esplose lo scorso gennaio. Non solo ha d ichiarato che non riconoscerà né l’indipendenza delle Repubbliche autoproclamate di Donetsk e Lugansk né l’annessione russa della Crimea, ma ha anche sottolineato che non aiuterà Mosca ad aggirare le sanzioni occidentali. Nel Paese è persino in corso un dibattito per indire un referendum sull’appartenenza alle due alleanze con Mosca, l’Eaeu e il Csto. «Il modo in cui l’Asia Centrale pensa a Mosca è cambiato», commneta Temur Umarov, analista del Carnegie Moscow Center. «I governi cercheranno di minimizzare l’influenza della Russia. Sarà difficile da fare, ma non hanno altra scelta perché Mosca è diventata una potenza imprevedibile».