La Stampa, 23 aprile 2022
Tutte le vite di Susanna Agnelli
«Come descrivere Susanna Agnelli?» – ha scritto l’economista americano James Galbraith – «Elegante. Perspicace. Caritatevole. Raconteur. Patriota. Umanitaria. Le parole non riescono a cogliere il suo spirito, il suo raggio d’azione, la sua profondità». Suni, come era generalmente nota, aveva insegnato alle nipoti ad attenersi alle “tre C”, quando le parlavano: corto, chiaro e corretto. Se si dovesse rispettare tale principio, l’epitaffio di Galbraith sarebbe sufficiente, ma l’occasione del centenario della sua nascita, il 24 aprile 1922, giustifica qualche nota in più.
La terza dei sette figli di Edoardo Agnelli e Virginia Bourbon del Monte nacque a Torino. L’infanzia della nipote di Giovanni Agnelli, il senatore e fondatore della Fiat, era certamente dorata. L’influenza dell’austera società sabauda e di una rigida educazione inglese ha generato fortezza di carattere, ma provocato anche un desiderio di libertà, di uscire dagli schemi convenzionali. Suni, scombussolata dalla morte del padre nel 1935 e dal conflitto tra il senatore e la madre riguardo all’affidamento dei figli, è stata temprata dalla guerra: sviluppò una straordinaria abilità di occuparsi degli altri, nutrita anche dal suo cattolicesimo liberale, prima come crocerossina sulle navi, poi come autista di ambulanze. Ad appena 22 anni, il suo modus operandi emergeva già chiaramente: spinta dalla sua grande energia e determinazione, utilizzando la sua posizione, si impegnava efficacemente in generosi progetti. In Vestivamo alla marinara, scritto con avvincente légèreté e vivacità, spiega che negli ultimi mesi dell’ultima guerra: «Volevo organizzare un gruppo di ambulanze che seguissero le armate alleate e potessero trasportare i feriti civili agli ospedali. Alle ambulanze militari era proibito caricare civili. Sono riuscita a trovare cinque macchine Fiat che potevano essere convertite in ambulanze. Ho indotto il quartier generale della Croce Rossa ad autorizzare la formazione di un gruppo di ragazze volontarie per guidare le ambulanze; ho ottenuto che gli Alleati ci concedessero la benzina e le razioni militari; ho trovato dieci ragazze che erano pronte a fare un corso di addestramento e poi a farsi militarizzare fino alla fine della guerra».
Il 1945 è stato un anno insieme felice e doloroso – la fine della guerra, il matrimonio con Urbano Rattazzi e, pochi mesi dopo, la morte della madre e del Senatore Agnelli. Resiliente, voltò pagina: mise al mondo sei figli, si stabilì in Argentina, dove abitò tra il 1948 il 1958. Rientrata a Roma, dopo la separazione dal marito nel 1964, la sua vita si organizzò attorno a tre pilastri.
Nella sfera privata e creativa, coltivò grandi amori, tra cui Cesare Garboli e Guido Carli, e seguì assiduamente figli e nipoti che accoglieva all’Argentario intorno al grande tavolo sotto il tendone davanti alla casa principale e sulle terrazze che discendono verso il mare. Legatissima al fratello Gianni, gli era molto vicina e protettiva – Suni si assicurò che la gamba frantumata dall’incidente automobilistico del 1952 fosse curata dai migliori specialisti – e pure in grado di tenergli testa, al punto che una tagliente lingua torinese li soprannominava Zeus e Giunone… Non solo si dedicò a scrivere per giornali e riviste italiani e statunitensi, ma dopo il bestseller Vestivamo alla marinara (1975), pubblicò, oltre a rapporti legati ai suoi ruoli pubblici, Ricordati Gualenguaychù (1982), Addio, addio mio ultimo amore (1985) e Questo libro è tuo (1993). Con incisiva schiettezza, dal 1986 al 2009, tenne la rubrica Risposte private di Oggi.
Il secondo pilastro è rappresentato dalla vita politica. Alla conferenza, Women in Democracy, a Vienna nel 1997, Suni esordì affermando: «Sono una politica anomala. Innanzitutto perché non mi è mai piaciuta la politica, e poi perché quando ho deciso di entrare in questo campo ero più vicina ai cinquanta che ai quarant’anni». Riteneva, tuttavia, che fosse vitale che le donne si impegnassero in politica perché «sono pratiche, a loro piacciono le azioni, non le parole». Inizialmente, nel 1970, il desiderio di proteggere il territorio l’ha spinta a entrare nel consiglio comunale dell’Argentario quale rappresentante del Partito Repubblicano Italiano.
Eccezionalmente per una donna all’epoca, fu eletta sindaco nel 1974, carica che tenne fino al 1984. Molto attenta ai singoli cittadini, è riuscita a mettere freno alla speculazione edilizia e, durante i terribili incendi del 1981, ha chiamato personalmente Mitterrand per ottenere dei canadair. Era stata anche eletta alla Camera dei Deputati nel 1976, al Parlamento Europeo nel 1979 e al Senato nel 1983. Sebbene non tollerasse intrighi e riti politici, amava le cariche ministeriali: è stata la prima donna italiana sia sottosegretario agli Esteri di cinque governi (1983-1991), sia ministro degli Esteri del governo Dini (1995-1996). Lavorava da poco alla Farnesina quando spiegò allo staff il suo approccio: «Si può lavorare molto bene e ridere. Si può lavorare, viaggiare, fare dei discorsi e allo stesso tempo divertirsi. Perciò smettete di fare una faccia come se andassimo sempre a un funerale e, peraltro, dimezzate la lunghezza dei miei discorsi, tanto comunque nessuno li ascolta».
Esigente e impaziente con i suoi collaboratori, si aspettava che lavorassero molto velocemente e in qualsiasi circostanza. Era portata per questi ruoli, parlava l’inglese, il francese e lo spagnolo bene quanto la lingua madre, conosceva numerosi leader mondiali, da Henry Kissinger ad Aga Khan, amava viaggiare, era sempre informatissima e formulava senza esitazione chiari giudizi. Era elegante e imponente, sempre senza borsa con gli occhiali pieghevoli in un piccolo astuccio di pelle che con un cinturino indossava al polso sinistro. Grande europeista, nella scia del Senatore Agnelli, forse il passo di maggiore rilievo in politica internazionale è stato compiuto nel 1995, quando annunciò la sospensione del veto italiano all’avvio dei negoziati di accesso della Slovenia all’Ue, un gesto di fiducia nella volontà degli sloveni di risolvere l’annosa questione dei beni immobili lasciati dai profughi istriani.
Il lavoro filantropico costituisce il terzo pilastro, un filone perenne anche nel dopoguerra. Prima è stata presidente della Scuola per Infermiere Professionali «Edoardo e Virginia Agnelli» (1945-1977) e, in seguito, ha avuto incarichi speciali (delegata della Lega delle Società della Croce Rossa in Vietnam nel 1967 e parlamentare europea impegnata a favore dei profughi cambogiani). Un’altra «iniziativa tutta al femminile» è stata la fondazione e la presidenza dal 1992 al 2009 di Telethon, la maratona televisiva che in quel periodo raccolse più di 430 milioni di euro per la ricerca di cure per le malattie genetiche rare.
Nel 1997 fondò II Faro per formare e inserire nel mondo del lavoro giovani in difficoltà, prevalentemente immigrati: lo presiedette fino alla sua morte, nel 2009.
Come Suni ha concluso una conferenza del 1997, «Basta ora, vi ho intrattenuti troppo a lungo»! —