La Stampa, 23 aprile 2022
Parla Mykola Trofymenko, è il più giovane rettore dell’Ucraina
«Sapete perché hanno raso al suolo Mariupol? Perché era la città più moderna del Donbass: università, studenti da molti Paesi, due stabilimenti metallurgici, il porto. E faceva invidia a Putin, non riusciva a giustificarla ai suoi che vivono nel territorio». Parla da Kiev, Mykola Trofymenko, è il più giovane rettore dell’Ucraina. Guida l’Università della città martire del Sudest. Ha 38 anni, un figlio. Ha studiato anche un po’ di italiano: «Lo insegniamo in ateneo dal 2000, abbiamo una collaborazione con la città di Santa Severina, a Crotone». È scappato il 15 marzo, Trofymenko, ma dall’inizio della guerra ha pensato solo a salvare l’ateneo: ha trasferito server e documenti prima a Dnipro, poi a Leopoli. Ha evacuato l’80% del personale, il 60% degli studenti. «Anche se quattro docenti sono morti e di 40 non si hanno notizie», dice. Il trasloco a febbraio ha permesso un mezzo miracolo, nella devastazione totale: «Continuiamo le lezioni online, la vita deve prevalere sulla morte».
Com’era Mariupol prima della distruzione?
«La guerra per noi è iniziata nel 2014. Vivevamo a 20 chilometri dal conflitto. Volevamo dimostrare che abitare in Ucraina significava essere europei e all’avanguardia: servizi, stipendi, qualità della vita. Abbiamo rinnovato le scuole, gli ospedali, gli asili, i parchi, le strade. Avevamo una città molto bella. Grande come Genova, anzi più grande. Avevamo investimenti da Paesi e banche straniere. È uno dei motivi per cui i russi e Putin hanno dato l’ordine di distruggerci, perché gli abbiamo dato molto fastidio. Era difficile spiegare (ai filorussi del Donbass, ndr) perché Mariupol era così sviluppata. A molti non piaceva la politica delle amministrazioni occupate e della Russia. Volevano tornare in Ucraina. Il confronto era con Mariupol. Hanno iniziato a bombardarci da ogni lato. Non posso nemmeno immaginare quante vittime avremo: penso più o meno 30.000».
In che condizioni è la città?
«Case distrutte, bruciate, enormi edifici a più piani, cadaveri per le strade, auto incendiate, pezzi di mine, bombe, Grad per le strade. È un inferno. È impossibile percorrerla in macchina, nessuno è in grado di ripulirla. I bombardamenti sono continui, non si può far nulla. Hanno distrutto autobus e filobus: avevamo più di 100 filobus, comprati con l’aiuto della Banca Europea per la Ricostruzione e lo Sviluppo. Già il 15 marzo, quando ero ancora là, non avevamo ricevuto alcuna fornitura di cibo dall’inizio del mese, eravamo senza elettricità, acqua e senza connessione. È stata una sfida trovare il cibo ogni giorno. Per l’acqua abbiamo usato la neve sciolta, grazie a Dio l’avevamo. Per cucinare, lavarci, fare il porridge per i nostri bambini. Nel mio rifugio eravamo 80 con 20 bambini. Mio figlio di cinque anni era con me. Il direttore dell’ospedale mi ha raccontato che stava operando un uomo, tagliandogli una gamba col coltello senza anestesia. Storie assurde, incredibili. I parchi sono diventati tombe. Molti sono stati bruciati nei cortili delle case».
Cosa succede se cade Mariupol?
«Stanno cercando di catturare la città, ma non possono prendere l’ultima fortezza, l’acciaieria. È enorme, con un sacco di bunker e rifugi costruiti durante l’Urss, pronti per la guerra nucleare. È impossibile per i soldati russi prendere questi rifugi. Non riescono nemmeno a prendere i territori di Donetsk e Lugansk. Non possono prendere tutta l’Ucraina e uccidere il nostro presidente. Stanno cercando di occupare qualcosa, per dimostrare al loro popolo che non tornano a casa a mani vuote. Ma presto dovranno trattare».
Quando finirà la guerra, secondo lei?
«Il futuro di questa guerra sarà deciso nelle prossime settimane. Putin, da leader sovietico, ama le ricorrenze di era sovietica. Pensiamo al 9 maggio, la vittoria contro i nazisti della Seconda guerra mondiale. Ma le nostre truppe sono forti e li stanno battendo. Gli eroi dell’acciaieria non si arrenderanno mai. Anche se stanno cercando di salvare i civili».
Lei ha un rapporto speciale con l’Italia. C’è un appello che vuole fare al nostro governo?
«Di non accettare più gas e petrolio dalla Russia. Ma anche agli italiani dico: cambiate la vostra idea sul Battaglione Azov. Non sono nazionalisti e fascisti, i russi lo sono. Vivono in Ucraina nella nostra regione dal 2014. Hanno una filosofia separatista. Non è nazionalismo, sono sentimenti patriottici, vogliono essere buoni guerrieri. Sono bravi ragazzi che difendono le loro famiglie, le loro case. Questo è ciò che i russi non capiranno mai: che siamo un sol uomo, unito anche dalla fratellanza militare».