La Stampa, 23 aprile 2022
Cos’è successo nell’acciaieria di Mariupol
Abbassare gli occhi a terra può essere pericoloso. Qui, in quella che un tempo era una città, sotto i piedi scricchiolano frammenti di cose, pezzi di persone, piccoli ritagli di esistenze che furono, pare mille anni fa. Quel che resta sono schegge di qualcosa che una volta aveva un senso, un suo posto nel mondo. Ma nell’enorme acciaieria di Mariupol nulla ha più un senso, nessuno ha più un posto. La guerra spiega con i fatti il significato di “raso al suolo”, “cancellato”, smembrato in pezzi talmente piccoli che per capire il tutto non basta guardare. La strada che si infila nell’area industriale della Azovstal, ultimo rifugio dei soldati ucraini e di, pare, mille civili, passa sotto un cielo di colpi di mortaio e artiglieria pesante che picchiano senza sosta. Da ogni buca, dietro ogni trincea potrebbe nascondersi un cecchino, di una parte o dell’altra. Nulla, qui, è rimasto in piedi. Non le case, gli alberi, le fabbriche, i negozi, la ferrovia, qualunque cosa costruita dall’uomo o dalla natura è devastato. Un processo irreversibile che ha inghiottito soldati e civili, che ora giacciono abbandonati in mezzo alla strada, neanche la dignità di una fossa comune.
All’ingresso della città sventolano le bandiere cecene, dentro anche quelle delle milizie di Donetsk. La stoffa è lucida e nuova, pare brillare sullo sfondo delle macerie. Anche ieri, lontano dal perimetro dell’acciaieria, prossimo trofeo di guerra in vista del 9 maggio di Putin, i civili si mettevano in fila per il pane e l’acqua. Sul lungo corso principale, attaccate ai pochi alberi ancora in piedi, ci sono le bandiere rosse che indicano il corridoio umanitario russo che dall’acciaieria portava fuori città. Nessuno l’ha mai usato.
Ovunque ci sono carcasse di auto e mezzi militari, ormai arrugginite, come se fossero resti di un’altra guerra. Ma la guerra è la stessa, solo la linea del fronte è cambiata. Ora è qui, attorno alla grande acciaieria, dove i soldati di Donetsk scavano nuove trincee e i ceceni disinnescano le trappole esplosive. I tombini sono stati fatti saltare, vogliono evitare che i soldati ucraini escano «da sotto».
Lungo quella che era la ferrovia, man mano che la Azovstal si avvicina, i colpi si fanno più forti, le persone si dissolvono nel nulla. Lo scenario è apocalittico: si cammina tra i corpi, sopra i corpi, tra macerie, mine, casse di bombe a mano abbandonate, resti della battaglia. È come se qualcuno avesse preso la città e l’avesse scossa con indicibile violenza. Sotto, assieme ai civili, sono rimasti i soldati del battaglione Azov e della 36ª Brigata della Marina ucraina, sopra ci sono i ceceni che li aspettano: «Li andiamo a sgozzare uno a uno», dice un miliziano di Kadyrov brandendo un coltello.
Ora dopo ora il cerchio si stringe sempre di più attorno all’Azovstal, diventata una prigione a cielo aperto per gli ultimi soldati ucraini. «Ci mettiamo un filo spinato attorno e siamo a posto, da lì non escono più», dice un soldato di Donetsk. La strategia è chiara, con il resto della città sotto controllo russo, è solo una questione di tempo. E più che una prigione, l’acciaieria pare una tomba a cielo aperto, chè da lì diventa sempre più improbabile che qualcuno uscirà vivo.
Anche le seconde linee hanno ormai raggiunto il fronte dell’Azovstal, in arrivo ci sono almeno altre 12 unità russe. Se non fosse per le donne, gli anziani e i bambini nascosti nei bunker sotto l’acciaieria, avrebbero già fatto irruzione.
Mariupol, ridotta a macerie fumanti, compare sulla tv di Stato russa, primo piano sulla la bandiera dei separatisti che sventola sulla torre della televisione, il punto più alto della città, e i magazzini della Azovstal in fiamme. «La tregua umanitaria inizierà quando le forze ucraine rintanate nello stabilimento Azovstal alzeranno bandiera bianca», ha messo in chiaro il generale russo Mizintsev.
In gioco c’è tutta l’offensiva russa, quella che da ieri ha improvvisamente una logica chiara e definitiva, e che non può prescindere da Mariupol. Prenderla priverebbe gli ucraini di un porto vitale e completerebbe il corridoio terrestre tra la Russia e la penisola di Crimea, forse oltre. I giochi sembrano ormai fatti, l’unica, pesantissima incognita, pesa solo sul destino degli ultimi soldati di Kiev.