il Fatto Quotidiano, 23 aprile 2022
I narcos di Milano
Prezzi all’ingrosso e al dettaglio, società ombra nei cui magazzini arrivano i carichi dalla Spagna, ristoranti per fare gli scambi, e un fiume di droga per alimentare le nuove piazze di spaccio di Milano e hinterland, dal centro ai quartieri della “malavita”, Quarto Oggiaro, Baggio, fino all’Ortomercato. Traffico internazionale, spaccio, armi, usura e documenti falsi per coprire la latitanza (terminata) di Francesco “Gianco” Castriotta, boss della droga. Queste le accuse contestate in 38 capi d’imputazione a 59 indagati in una maxi-inchiesta nata nel 2018 coordinata dal Ros e dall’allora pm Marcello Musso, magistrato dalla schiena dritta, l’unico a far condannare all’ergastolo Totò Riina a Milano per l’omicidio di Alfio Trovato (1992, via Palmanova) legato ai clan catanesi, l’unico ad aver disegnato con le quattro indagini “Pavone” il risiko criminale della nuova Milano, indagando boss del calibro di Biagio Crisafulli detto “Dentino” o narcos come Paolo Salvaggio, ucciso a Buccinasco nel 2021.
Musso fu minacciato anche in aula. Nell’agosto 2019 muore in un incidente stradale. Un anno prima aveva iniziato di nuovo a indagare sulla droga a Milano. Oggi quel lavoro di lettura delle carte e di ricerca maniacale di riscontri, a oltre due anni dalla sua morte, si è trasformato nell’ultima eredità del pm Marcello Musso, portata a termine da altri due magistrati antimafia, Francesco De Tommasi e Gianluca Prisco. E così le 53 pagine di chiusura indagine, notificate solo pochi giorni fa, di quella che potremmo chiamare l’inchiesta “Pavone 5”, rimettono in fila prime donne e gregari, luoghi e coperture. Il tutto giocato nel cono d’ombra inafferrabile della mafia calabrese. Tanto che in una intercettazione l’indagato Vincenzo M. detto “Cenzo” viene definito così: “Quella è mafia pesante (…) questi sono calabroni di Reggio Calabria (…) è intrallazzato con la ’ndrangheta”. Salvatore M. calabrese di Crotone intasca invece 2.000 euro per ogni carico che arrivava nel deposito della sua ditta di Pogliano Milanese. “Quando veniva a scaricare qua si beccava la tangente”. In questa storia anche i soprannomi non sono un dettaglio: c’è “il Grosso” e “Pianta di piselli”, c’è “il Barbetta”, “Zillo”, “Zaffo”, “Piripicchio”. Ma soprattutto ci sono quintali di hashish da Barcellona, dove il gruppo dei nuovi narcos conta sulla copertura di un club privé in Paseo Picasso.
E il giro dei soldi non è di poco conto. Lo si ascolta in diretta con uno dei capi, Graziano V., che “si porta a casa 50 mila euro alla settimana”. E lui è uno preciso. Finito in carcere passerà al padre un pizzino con i clienti che devono pagare. Spiega: “Ci sono i nomi (…), li conosce Cenzo, deve andare a recuperare i soldi”. E non pochi, visto che ogni fornitura era di 50 chili alla settimana “più altri 5 chili per la piazza e per far lavorare i ragazzi”. Via Pascarella a Quarto Oggiaro è indirizzo che ricorre spesso. Qui i carichi vengono piazzati da Antonio M. detto “Tony” e gestiti su piazza da membri della “famiglia Carvelli, storicamente operante a Quarto Oggiaro nel traffico della droga”. I “cavalli” del clan utilizzano la zona del centro commerciale Metropoli a Novate Milanese. Non lontano, in via Battisti, due appartamenti fanno da covo per la roba, i soldi e per gestire una serra di marijuana. A cavallo tra il quartiere Corvetto e l’Ortomercato la centrale dello spaccio è un ristorante. A gestirlo è un nordafricano, Mohamed O. detto “il panettiere”, il quale con il gruppo degli italiani fa “lo scambio merce, gli diamo la bianca (cocaina, ndr) e prendiamo il fumo”. I rendez-vous si sprecano. Un acquirente chiede “un panino” (un etto di fumo) e dice: “Alimentami (…) stappiamo lo spumante?! Per me è come il pane, non mi può mancare tutti i giorni”. In questa storia ci sono anche le armi. “C’ho una 7 e 65 – spiega uno dei capi – e una 9×21 bifilare bellissima”, serve per “proteggere” l’attività perché “in certe zone non mi fido”.
E poi ci sono documenti falsi per Castriotta, il narcos di Quarto Oggiaro che nel 2010, grazie a una diagnosi di “priapismo” uscirà dal carcere dandosi subito uccel di bosco per poi essere catturato in Spagna anni dopo. Il quadro si completa con l’usura. Dice Antonio M: “So dove prenderlo (…) questa volta gli do fuoco”.