il Fatto Quotidiano, 23 aprile 2022
Gli affari dei Colaninno
Ventotto milioni di euro per “sonar a profondità variabile”. A cui si aggiungono collaborazioni attivate nel corso degli anni con le Marine di otto Paesi, tra cui Algeria, Nigeria e Australia. Tra le aziende italiane di materiale bellico che fanno affari con l’Estero c’è anche Intermarine, colosso del settore navale che fa parte del gruppo Immsi. Se i nomi delle società suonano nuovi, più familiare dovrebbe essere quello della famiglia che le controlla: i Colaninno, il cui rampollo Matteo siede oggi alla Camera in quota Italia Viva.
Il deputato fa parte infatti del consiglio di amministrazione della holding, presieduto dal padre Roberto (in testa a quei “capitani coraggiosi” che si presero Telecom col governo D’Alema) e guidato – come amministratore delegato e direttore generale – dal fratello Michele. Matteo non ha incarichi in Intermarine, ma l’azienda ha un peso non trascurabile all’interno della holding, assorbendo circa il 12 per cento degli investimenti del gruppo.
La scorsa settimana il governo ha inviato al Parlamento la relazione sull’export di armamenti nel 2021, nelle cui pagine compare anche Intermarine. Nella sezione in cui vengono dettagliate le autorizzazioni rilasciate alle aziende per la vendita, l’ammontare relativo a Intermarine è di 28.552.724 euro. Il “materiale oggetto del contratto” è descritto come “sonar a profondità variabile tipo Thales 2093”, segno che la produzione di questi sistemi coinvolge anche un altro colosso del settore come Thales. Ma segno soprattutto che Intermarine mantiene buone relazioni internazionali.
Il report non specifica con quali Paesi la società abbia stretto accordi nel 2021 – né l’azienda, contattata dal Fatto, ha fornito dettagli – ma i rapporti sono consolidati in tutti i continenti. Una relazione di Aiad, la costola di Confindustria del settore Difesa, riferisce che negli ultimi anni Intermarine “ha prodotto, direttamente o su licenza concessa a partner esteri, unità navali a 8 Marine” di altrettanti Paesi: Italia, Malesia, Nigeria, Australia, Stati Uniti, Tailandia, Finlandia e Algeria.
Con la Difesa algerina i contatti sono particolarmente intensi. Già nel 2013 Intermarine iniziò a trattare la fornitura di materiale per la Marina. Le cose sono andate bene, perché dal 2017 a oggi Intermarine ha consegnato 3 unità cacciamine, i cosiddetti Mcmv (Mine countermeasure vessel), navi specializzate nella ricerca e nella neutralizzazione delle mine la cui realizzazione richiede tecniche di costruzione tutt’altro che comuni, motivo per cui Intermarine si è guadagnata una buona fetta di mercato anche all’estero. Un percorso che il renziano Colaninno non ha gestito in prima persona (essendo fuori, come detto, dal board di Intermarine) ma che comunque lo farà sorridere, visto che Immsi controlla il 72 per cento dell’azienda. Abbastanza per rendere l’onorevole una voce interessata al dibattito sulle spese militari.