il Fatto Quotidiano, 23 aprile 2022
Il nuovo Mose fa acqua
“Il progetto della nuova diga foranea del porto di Genova è in ritardo di 14 mesi e non sta in piedi: ammesso che sia tecnicamente possibile fare una cosa mai tentata al mondo, i lavori costeranno il doppio e dureranno il triplo del previsto”. A descrivere un quadro che, per restare sul mare, ricorda quello del Mose veneziano non è un estremista ambientalista o un oppositore politico. A dettagliarlo, in 32 pagine appena vergate e lette dal Fatto, è il super esperto incaricato della supervisione del progetto da Rina Consulting, aggiudicataria per 12 milioni di euro del Pmc (Project management consulting), l’attività prodromica alla predisposizione del bando per il progetto definitivo, esecutivo e la realizzazione dell’opera da 950 milioni di euro, da bandirsi nei prossimi mesi.
Piero Silva, in sostanza, è l’ingegnere idraulico con 40 anni di carriera internazionale alle spalle che è stato scelto dai commissari all’opera – il sindaco di Genova, Marco Bucci, e il presidente dell’Autorità portuale, Paolo Emilio Signorini – per rifinire il progetto preliminare della più importante infrastruttura portuale italiana. Un’opera, il rifacimento della diga foranea, che è il cavallo di battaglia dell’amministrazione Bucci in cerca di riconferma e la quintessenza della logica voluta dal governo per il Piano nazionale di ripresa e resilienza (Pnrr), avendo iniziato l’iter prima del Covid e beneficiato, come parte del piano straordinario da 2,3 miliardi di opere portuali post Morandi, delle scorciatoie commissariali concesse a Bucci per la ricostruzione del ponte, base delle modifiche al Codice degli appalti, apportate dagli esecutivi Conte bis e Draghi.
Per mesi Silva ha esposto le sue perplessità tecniche, che vanno da un sovradimensionamento dell’opera alla tecnica di imbasamento inedita per le profondità in questione, fino alle riserve geotecniche sulla tenuta del fondale. Silva ha proposto modifiche, spiegando che, diversamente, i lavori saranno d’incerta fattibilità e richiederanno 2 miliardi circa invece del miliardo previsto e 15 anni di lavori invece dei 5 preventivati. Ma ha sbattuto però su un muro di gomma. Al punto che a marzo ha dato le dimissioni “dalla direzione tecnica” per rivendicate ragioni etico-deontologiche, sintetizzando pochi giorni fa in una relazione le criticità e abbozzando una proposta alternativa. Il tutto senza che Bucci e Signorini rendessero nota la cosa, che del resto non commentano nemmeno oggi, mentre Rina Consulting ha specificato che Silva ha svolto attività consulenziale per il Pmc ma “non è dipendente né riveste o ha mai rivestito nella società alcuna carica, tanto meno quelle di direttore tecnico o di ‘supervisore’ della nuova diga di Genova”.
Il report svela il motivo dell’inerzia di tutti gli attori in gioco e rappresenta un serio campanello d’allarme sulla logica a monte di quest’opera e della smania commissariatrice del governo: cancellazione di procedure, tagli delle curve e sovrapposizione delle diverse fasi fanno sì che, una volta avviato, l’iter di un’opera sia pressoché irreversibile. Col rischio, conclude la relazione di Silva, che per risparmiare forse qualche mese e qualche milione utili ai ritocchi progettuali, ci si impantani per decenni in progetti impossibili e in spese miliardarie per varianti ex post.
Uno schema che rischia di diventare metodo con il Pnrr impostato dal governo, sebbene si sia già visto nella storia infrastrutturale italiana, a partire proprio dal Mose. Qualche avvisaglia, peraltro, s’è già avuta anche a Genova: recentemente l’Autorità portuale ha dovuto riconoscere varianti al rialzo del 20% al progettista della diga, la veronese Technital, perché non le aveva commissionato l’istruzione della valutazione di impatto ambientale (Via), e di oltre il 30% su due appalti del piano (uno aggiudicato a Carlo Agense Spa, uno a Fincosit) per falle della progettazione preliminare.
Technital era il progettista proprio del Mose. Signorini all’epoca era alto dirigente del Ministero, in quanto tale – è agli atti dell’inchiesta, pur senza cascami penali – beneficiario di una vacanza pagata dal Consorzio Venezia Nuova. Fra i pagatori delle tangenti (patteggiò due anni e la restituzione di 4 milioni) il vicepresidente Alessandro Mazzi, patron di Grandi Lavori Fincosit (Glf) e secondo rumor del tempo anche di Technital, formalmente in mano a due società fiduciarie.
Anche lui è recentemente ricomparso a Genova. Il verbale di gara lo registra fra i partecipanti all’apertura delle buste per l’altro maxi appalto del summenzionato piano straordinario (l’ampliamento del cantiere navale di Fincantieri, un’opera da 370 milioni ), sebbene non risultino cariche o deleghe da parte dell’aggiudicataria, un consorzio costituito anche da Fincosit. Che, sempre in mano a Glf (oggi riconducibile al controllo della moglie di Mazzi, Donatella Rocco, dopo la procedura concorsuale che travolse Glf a valle dello scandalo Mose) ha fatto incetta fra le opere del piano e altri appalti banditi da Autorità portuale e Comune. In attesa spasmodica della torta più grossa, quella della diga.