il Fatto Quotidiano, 23 aprile 2022
Intervista a Ornella Vanoni
“È stato mio padre a fregarmi”.
In che senso, Ornella?
Colpa sua se ho sempre pensato che gli uomini ti tirano su, ti abbracciano e non ti lasciano sul predellino.
Il predellino?
Il primo bombardamento inglese su Milano. Ero bambina, ai giardini. Tutto fumo, le auto bruciate. La stazione era l’inferno, come l’Ucraina oggi. Papà mi fece salire sul treno, salvandomi. Strano, ho iniziato e finisco la vita con la guerra.
Dove la portarono?
A Varese. Arrivavano i bengala, correvamo al rifugio. Avevo una maestra con dei grandi occhi azzurri, mi insegnava le tabelline. Un giorno le dissi: ci vediamo domani. E lei: non credo. Era ebrea. Non la vidi più, come mio zio partigiano che aveva il mitra in casa. Lo ammazzarono.
Con le armi dei partigiani giocavano Paoli e Tenco, molto dopo.
Non so. Luigi era pieno di vita. Incisi per prima una sua canzone, Se qualcuno ti dirà, lui ci suonava il sax, con un giornale infilato a far da sordina.
Domani a Sanremo la onoreranno con un Premio Tenco Speciale. Dov’era lei quella notte del ’67?
In un altro albergo. Non seppi della sua morte fino alla sera successiva, dopo la mia esibizione. Ci saremmo ritirati tutti, chiudendoci nel giusto silenzio, se quegli imbecilli ci avessero informati.
A quel Festival presentava La musica è finita, di Califano-Bindi. Com’era Franco?
Lui bellissimo, io niente male. Quando la Venier mi ha detto in diretta: non ci credo che non avete fatto l’amore, le ho risposto: siete tutte zoccole. Io e Califano eravamo solo amici.
Vanoni, lei trovava ‘bello’ pure Dalla.
Lo diventava per la genialità. Eravamo molto legati, mi chiamava ‘Tesora’. Lo omaggerò all’Arena il 2 giugno con tanti altri cantanti. Spero mi lascino qualche pezzo degno. Sa, c’è la corsa…
Il Tenco, Verona e un solo altro evento per lei in questa stagione. Il Primo Maggio a San Giovanni.
Mi dicono: non è un palco per te. Lì davanti, più che lavoratori, ci sono tanti ragazzi. Canterò una poesia di Chico Buarque, Costruzione, su un operaio che cade dal palazzo: il suo cadavere crea ingorgo nel traffico. Si muore ancora troppo sul lavoro: per fretta, leggerezza, avidità.
Chico Buarque, il fratello brasiliano.
Scoprii presto quel Paese, erano tutti adoni, prima che si americanizzassero. Una sera con Chico andammo in una churrascaria per parlare di lavoro, alla fine scordammo di cosa per quanto eravamo ciucchi. Con Veloso passeggiavo per Ipanema, terrorizzati dai calabroni giganti. Anche lui ne aveva paura: eppure era stato messo al muro, con Gilberto Gil. Un’esecuzione a salve.
Divenne famosa anche in Argentina.
Finché un giornalista di Buenos Aires non riprese una battuta che avevo fatto in tv da Minà. Proibirono i miei dischi, non potevo cantare laggiù. A Roma degli argentini mi sputarono da una macchina in corsa.
Nei primi anni 60 avevate trionfato in America con Rugantino.
A Broadway sperimentarono i sottotitoli luminosi, ma non fu facile. Però incontrai Gerry Mulligan, che dopo suonò nelle mie sortite jazz.
Lei, milanese, scelta da Garinei e Giovannini nella parte di una popolana romana.
Mi chiamarono d’urgenza, Lea Massari aveva dato forfait. Aldo Fabrizi mi prese sotto la sua ala: a scrocchiazzeppi, te lo ‘nsegno io il romanesco, metti le mani sui fianchi, appoggiati sulle reni. Aveva sempre fame: vedeva una scopa gialla dietro le quinte e sospirava: me parono tajatelle.
Dicono fosse tirchio.
All’aeroporto di New York fu costretto a lasciare un baule pieno di caciotte portate da Roma. Sì, era tirato.
E Gigi Proietti?
Lavorammo in un capolavoro Rai, Fatti e Fattacci. Scoprii che il suo nome veniva prima del mio. Gli avrei dato un pugno.
Poi condivise la scena con Chiari.
Un mattatore. Peccato dicesse alla moglie Alida Chelli che volevo intrufolarmi in camera sua di notte. Lei non gli credette. Una sera alla Capannina lo lasciai sul palco da solo e me ne andai a metà spettacolo. Questione di rispetto, l’avevo imparato da Strehler.
Con Mina vi sentite?
Non parla con nessuno, ai tempi belli ci frequentavamo. Tanti anni fa vado al cinema con mio figlio Cristiano, era piccolo, Il Libro della Giungla. Mi chiese una caramella, non ne avevo. E lui: Mina ne ha sempre per me e Paciughino. Ero seconda pure come madre.
Come si immagina Dio?
Diceva Bertrand Russell: se Dio esiste è talmente immenso che non dobbiamo neanche nominarlo.