Avvenire, 23 aprile 2022
I grandi nodi dell’energia spiegati bene
C’è qualcosa che non va nel meccanismo delle aste dell’elettricità all’ingrosso, se la maggioranza dei partecipanti si presenta offrendo energia a prezzo zero e, a giochi fatti, se ne va incassando più di 200 euro per MWh. Non è colpa del Gestore dei Mercati Energetici (Gme), che dal 2004 si occupa di gestire la Borsa elettrica nazionale, ma sono le regole europee a imporre questo sistema marginale di definizione del prezzo che già da qualche anno mostrava i suoi limiti e che adesso, in un contesto di bollette fuori controllo, sembra davvero avere bisogno di una revisione.
L’asta del Mercato del giorno prima
Le operazioni di mercato per definire il prezzo dell’elettricità in un determinata giornata iniziano con nove giorni di anticipo, quando alle 8 del mattino il Gme apre l’asta del Mercato del Giorno Prima.
Chi produce e chi compra energia è chiamato a partecipare dichiarando quanta energia intende comprare o vendere, e a che prezzo, in ogni ora di quel giorno per le diverse aree del Paese. Il Gme raccoglie tutte le offerte e alle 12 del giorno prima chiude l’asta, mette in ordine le offerte di acquisto e di vendita, partendo da quelle con i prezzi più bassi. Per ogni ora del giorno e ogni area del Paese costruisce due curve di quantità e prezzo: una per la domanda e una per l’offerta. Le due curve si incontrano nel punto in cui l’offerta è sufficiente a coprire la domanda, sia a livello di quantità che di prezzo. Quel punto di incontro definisce il “prezzo di equilibrio”, che è il prezzo dell’ultima offerta (cioè quella con il prezzo più elevato) necessaria a soddisfare la domanda. Secondo le regole del prezzo marginale, è a quel prezzo di equilibrio che sarà venduta e acquistata tutta l’energia di quella singola asta. Chiusa questa asta del Mercato del Giorno Prima, che è quella in cui vengono scambiate le maggiori quantità di energia, si aprono le aste secondarie, quelle in cui gli operatori comprano e vendono l’energia assegnata all’asta principale e quella del Mercato per il Servizio di Dispacciamento, lo strumento che permette a Terna, la società proprietaria della rete elettrica, di rifornirsi per garantire il funzionamento del sistema: gestire eventuali congestioni, creare le riserve che assicurano la disponibilità di energia, bilanciare l’infrastruttura.
Se il prezzo lo fanno le fonti fossili
Il problema è che alle aste si confrontano produttori di elettricità molto diversi. Da un lato quelli di energia rinnovabile (idroelettrico, eolico, fotovoltaico) che devono remunerare il costo di realizzazione degli impianti ma usano una materia prima gratuita come l’acqua, il sole e il vento, e quindi funzionano a prescindere dalle condizioni di mercato. Dall’altra gli impianti termoelettrici, cioè a carbone e gas, che invece propongono prezzi sulla base del costo della materia prima. Succede così che i produttori di rinnovabili propongono quasi sempre prezzi a zero e tutta la competizione dell’asta è tra i produttori di energia termoelettrica. Il prezzo finale è così il prodotto di un’asta a cui partecipano davvero soltanto i produttori di energia da gas e carbone. La corsa delle quotazioni del metano ha quindi portato al balzo del prezzo per MWh, sul quale la disponibilità di energia rinnovabile non ha nessun effetto “argine”. All’asta per l’elettricità del giorno di oggi, per esempio, per le ore 12 nella zona Nord le offerte a prezzo zero erano per circa 20mila MWh. Ma dal momento che la domanda elettrica accettata è stata per poco più di 28mila MWh, il prezzo si è fatto su offerte a prezzi più alti. Precisamente 214,60 euro per MWh.
L’esigenza di correggere le storture del mercato
Chiamato a trovare da qualche parte le risorse per contenere l’impennata delle bol-lette, il governo ha guardato questi numeri e ha deciso un intervento di urgenza: la tassa sugli extra-profitti, cioè l’articolo 37 del decreto legge 21/2022. Un provvedimento di emergenza e quindi necessariamente un po’ “rozzo”. Una toppa che non risolve il problema di base del funzionamento del mercato elettrico. Un problema che non è nuovo. Già nel 2014 l’Enea aveva pubblicato una proposta di riforma del mercato elettrico per rimediare al fatto che alle aste concretamente «la concorrenza avviene solo tra gli impianti termoelettrici». La proposta invitava a considerare che se le rinnovabili fanno la maggioranza delle offerte di elettricità a basso costo sul Mercato del Giorno Prima, sono invece quasi assenti dalle offerte per il Mercato di dispacciamento: basate su fonti non programmabili con il sole o il vento, non possono offrire a Terna la riserva di energia necessaria a garantire il funzionamento del sistema. L’idea di quella proposta – che aveva firme autorevoli come quella di Alessandro Ortis, allora presidente dell’Arera, Federico Testa e Tullio Fanelli dell’Enea e l’ex sottosegretario del Mise Stefano Saglia – era quella di includere con alcuni accorgimenti tecnici il prezzo per l’energia di riserva nelle offerte, così da bilanciare il mercato in modo più realistico, chiamando tutti a contribuire alle necessità del sistema. Nonostante l’autorevolezza di chi ha avanzato la proposta, non se ne fece nulla.
La strada dei contratti a lungo termine
«Il mercato elettrico è miope. È disegnato per determinare il prezzo di scambio di energia da consegnare nel breve termine: un giorno, un mese, un trimestre, massimo due anni dopo. Non è disegnato per determinare il prezzo di forniture a lungo termine, su orizzonti coerenti con la struttura dei costi degli impianti da fonti rinnovabili» spiega Giuseppe Artizzu, manager con anni di esperienza nella produzione di energia rinnovabile: «Le fonti rinnovabili non hanno costi variabili di combustibile, ma devono generare per l’imprenditore un ritorno nel tempo sull’investimento iniziale. In un mercato disegnato per coprire il costo del combustibile e non il ritorno di lungo termine sull’investimento, il prezzo è sempre troppo basso o troppo alto per l’energia rinnovabile, a seconda del livello del prezzo del gas. Due anni fa era troppo basso, ora è troppo alto».
Artizzu ha proposto su Staffetta Quotidiana, la rivista di riferimento del settore, una soluzione “liberale” per migliorare il funzionamento del mercato e trovare le risorse per abbassare le bollette. Il Gse dovrebbe lanciare aste al ribasso per l’acquisto di una quantità precisa di energia rinnovabile con contratti a medio e lungo termine (da 10 a 30 anni) a prezzo fisso. In questo modo i produttori di energia pulita avrebbero garanzie sui loro incassi per un periodo di tempo preciso, così da potere pianificare gli investimenti, e dovrebbero intervenire con acquisti sul mercato nei momenti in cui la produzione degli impianti non fosse sufficiente. Il Gse rivenderebbe sul mercato l’energia acquistata e potrebbe usare il profitto che deriverebbe dalla differenza tra il prezzo di questi contratti e quello del mercato per interventi di mitigazione sulle bollette. La proposta è stata inserita nel testo del decreto legge Energia convertito in via definitiva dal Senato giovedì, all’articolo 16 bis.
Un’alternativa a questo sistema potrebbe vedere l’Acquirente unico – il soggetto statale che ha il compito di comprare l’elettricità per i clienti a maggior tutela – firmare contratti a lungo termine (tecnicamente si tratta di PPA, Power Purchase Agreement) con i produttori di energia verde: «L’obiettivo di un sistema articolato di Power Purchase Agreement è quello di sottrarre al meccanismo di prezzo di breve termine l’energia che può essere invece valorizzata dal produttore ad un prezzo fisso di lungo termine» conferma Artizzu. In questo modo chi sviluppa progetti di energia verde avrebbe cifre economiche certe su cui costruire il proprio piano, mentre il Gse o l’Acquirente unico avrebbe la possibilità di comprare energia a un prezzo ridotto.
Andare oltre l’emergenza
Sono soluzioni che potevano essere elaborate e discusse con i tempi necessari della politica negli anni scorsi, ma che sono state sostanzialmente ignorate finché la corsa dei prezzi non ha reso urgente trovare una soluzione. Il rischio (altamente probabile) è che passata questa bufera del mercato, l’intera questione di come migliorare il sistema di formazione del prezzo dell’energia elettrica – il principale carburante della nostra economia – scivoli in fondo alla lista delle priorità dei nostri legislatori.