https://www.jourdelo.it/doc.php?iddoc=744#:~:text=di%20Samuele%20Graziani,abbiamo%20cantato%20questa%20famosa%20filastrocca., 22 aprile 2022
La sedia a rotelle di Garibaldi
Garibaldi fu ferito, fu ferito ad una gamba, Garibaldi che comanda, che comanda il battaglion!
Tutti, da bambini prima e ai nostri bambini poi, abbiamo cantato questa famosa filastrocca. Ed effettivamente chi l’ha scritta ha centrato un avvenimento fondamentale per il Risorgimento Italiano.
La ferita inflitta a Garibaldi da Luigi Ferrari, bersagliere che aveva ricevuto l’ordine di sparare e che deliberatamente abbassò il fucile colpendolo alla gamba, fermò il Generale nella sua avanzata verso Roma e fu determinante nello svolgersi degli eventi successivi. E della nostra storia, così come poi si è svolta. Ma in questo breve trattato non intendiamo seguire il percorso dei Mille, bensì quella famosa ferita.
La storia ci presenta Garibaldi come eroe dei due mondi. La sua vita avventurosa si studia sin da scuola. Sappiamo che nasce a Nizza. Che incontra Mazzini e si iscrive alla Giovine Italia. Che va a combattere in Brasile. Che sposa Anita. Magari non sappiamo che Montevideo è la capitale dell’Uruguay, perché siamo un po’ ignoranti in geografia, però sappiamo che combatte in Uruguay e vive a Montevideo. Che torna in Italia e nel ‘49 è a combattere per la Repubblica Romana. Che fugge e in Romagna perde Anita. E Ugo Bassi. Che torna in America. Che ritorna in Italia. Poi c’è la fantastica impresa dei Mille e l’Unità d’Italia. Poi la Terza Guerra d’Indipendenza. Insomma: un eroe, un (il) Generale, un condottiero, un patriota, un combattente. Ma se vogliamo, anche: un amante appassionato, un massone, un anticlericale convinto, uno scrittore di romanzi e poesie.
Raramente però pensiamo a lui come ad un disabile. Eppure, negli ultimi anni della sua vita riuscì ad essere anche questo. Con grande dignità.
I postumi della ferita d’Aspromonte, e soprattutto l’artrite reumatoide, provarono progressivamente Garibaldi nel fisico, sino a ridurlo all’infermità: trascorse gli ultimi anni della sua vita su una sedia a rotelle. La casa bianca, edificio in cui la sua famiglia viveva in quei dell’isola di Caprera, oggi visitabile in quanto parte del Compendio Garibaldino, testimonia visibilmente questo aspetto forse meno conosciuto del Generale. La casa è disposta su un unico piano, sono otto stanze comunicanti tra di loro con un percorso pressoché obbligatorio. Oggi il museo si percorre in senso orario, ma lo stesso Garibaldi poteva solamente scegliere, al più, di girare in senso antiorario per andare da un ambiente ad un altro. Le porte sono larghe, non ci sono gradini o dislivelli: è fatta a misura di carrozzina. E le sedie a rotelle sono in mostra, quelle originali. E non ce n’è una sola, ce ne sono svariate. E altrettante stampelle e tanti altri di quelli che oggi si chiamerebbero ausili. Bellissima è, per fare un esempio, la poltrona in pelle con schienale reclinabile che funge da scrittoio, leggio e portalume, donatagli nel 1877 dalla Regina Margherita durante una visita. Ma di forte impatto è anche il letto ortopedico, attrezzato anch’esso con schienale sollevabile e scrittoio.Ma adesso basta, abbiamo parlato sin troppo a lungo di Garibaldi e ancora troppo poco di quella che voleva essere la protagonista: la sua sedia a rotelle. L’eroe dei due mondi ci scuserà se lo mettiamo momentaneamente in secondo piano e passiamo a un’altra storia.
Le origini della sedia a rotelle sono dibattute e incerte. Due sono le possibili antenate: alcune fonti la fanno risalire all’antica Grecia. In un’incisione presente su un vaso (datata circa 525 a.C.) si vede una sorta di lettino con le ruote per il trasporto di bambini, non è una sedia a rotelle, ma è un primo mobile di casa con le ruote. Una seconda incisione, del 530 d.C. circa, mostra una vera e propria sedia con le rotelle. Altre fonti la fanno invece risalire ad una scultura su pietra dell’antica Cina (III secolo d.C.) in cui le sedie con le ruote sono utilizzate per portare i malati e gli infermi alla fonte della giovinezza. Sono una sorta di risciò con un bel divanetto a due posti. Comunque parliamo di antichità, e quindi di vecchi antenati.
La prima vera e propria sedia per invalidi risale alla fine del 1500, realizzata (possiamo dire inventata) per re Filippo II di Spagna. In un’incisione del 1595 si vede il re su un grande scranno, con lo schienale reclinabile, e quattro piccole ruotine in fondo ai piedi. Sicuramente un oggetto ingombrante e poco pratico, che necessitava almeno di un paio di servitori per essere spostato, ma si presuppone che un re non avesse problemi di personale dipendente…
Quello che però caratterizza una sedia a rotelle moderna, è il concetto che chi la usa si possa spostare da solo, quindi la possa manovrare in autonomia. L’intuizione geniale venne all’orologiaio tedesco Stephen Farffler che a 22 anni, nel 1655, inventò una sorta di triciclo con una ruota dentata anteriore e due manovelle per manovrarla. Dalla stampa non è ben chiaro se ci sia o meno un movimento di sterzo, quindi la sedia sembra potersi muovere solo avanti o indietro. Sicuramente è molto ingombrante, non adatta ad ambienti casalinghi, appare su alcune stampe raffigurata all’esterno, su strade di campagna. Possiamo paragonarla più ad un triciclo che ad una carrozzina per come la intendiamo noi oggi. È ancora molto lontana da noi, ma sicuramente è il primo passo verso la modernità. nel diciottesimo secolo che c’è il vero salto di qualità. Nel Settecento iniziarono a diffondersi due nuovi modelli, tra loro molto diversi. Un primo modello, molto simile a quelli odierni, almeno per concezione, non ha un vero proprio inventore a cui viene attribuito. Aveva due grandi ruote anteriori e una piccola ruota mobile posteriore. Un bellissimo esemplare del 1740 appartenuto a Elisabetta Cristina di Brunswick-Wolfenbüttel (la mamma di Sissi) è esposto al Museo del Mobile di Vienna. In tutto l’Ottocento si diffuse, come dimostra la galleria di immagini qui a fianco, subendo piccole variazioni e migliorie.
Il secondo modello invece ha un padre, e per noi è il modello definitivo. Nel 1783 l’inglese John Dawson di Bath creò una sedia con due grandi ruote posteriori e una piccola ruota anteriore. Al bisogno la ruota anteriore poteva essere sostituita da una coppia di ruote e poteva essere agganciata ad un animale da tiro diventando così una sorta di piccola carrozza. Poteva essere spinta da una persona, poteva essere utilizzata in autonomia grazie alle grandi ruote. Non era eccessivamente larga, e quindi poteva essere utilizzata anche in casa (una casa grande, si intende). È conosciuta come sedia di Bath. Se andiamo a visitare il Compendio Garibaldino vedremo 3 o 4 sedie esattamente di questo modello, che fu in uso per tutto l’Ottocento. Anche questa nel corso di tutto il secolo subì miglioramenti e varianti: aggiunta di ammortizzatori, di cappottine e altri accessori, ma nessuno fu sostanziale sino al 1932, quando Harry Jennings studiò per Herbert Everest, suo amico, il primo prototipo pieghevole in acciaio tubolare. Assieme fondarono la Everest and Jennings, che fu la prima ditta a produrre sedie a rotelle su larga scala e mantenne più o meno il primato mondiale per una cinquantina di anni. Alla fine della Seconda Guerra Mondiale fecero comparsa infine le sedie a rotelle motorizzate.
Torniamo a Garibaldi, altrimenti se chiudiamo l’articolo parlando della sedia potrebbe offendersi (era anche molto orgoglioso e un po’ vanesio). Insomma, con grandissima dignità l’eroe dei due mondi finì gli ultimi anni della sua vita da invalido. Passando dal letto ortopedico, alla poltrona-scrittoio, alla sedia a rotelle. L’invalidità fu solamente fisica. La sua mente continuò a brillare sino alla fine, la sua personalità si fece strada anche in quel periodo e non si fece di sicuro fermare da una stupida ferita ad una gamba.