il Fatto Quotidiano, 22 aprile 2022
Bruno Conti, un’autobiografia
Ai miei scherzi ride di gusto anche mister Liedholm che pure oggi ha preteso di fare la solita strada da Villa Pamphilj, dove siamo in ritiro, allo Stadio. Non importa che ci sia traffico: lui è la scaramanzia in persona e non sente ragioni. Una volta (…) c’era talmente tanta confusione per strada che Sergio (l’autista) ipotizzò un tragitto alternativo. “Non se ne parla” disse Liedholm. “Chiediamo una mezz’ora all’arbitro, ma la strada non si cambia per alcun motivo.” (…) Lo stadio è già pieno ed è tempo di entrare in campo per il riscaldamento. Al rientro negli spogliatoi, noto che Liedholm si è adoperato nel suo ennesimo rituale di scaramanzia compulsiva. Le scarpe, che io e i miei compagni abbiamo lasciato sparpagliate vicino ai borsoni, sono tutte perfettamente allineate e distanziate. Il mister ogni volta aspetta che usciamo tutti dalla stanza per sistemare ogni singolo scarpino con il piede mancino e con le mani in tasca. (…)
Da lontano vediamo arrivare il mago Maggi, indossa i consueti pantaloni larghissimi alle caviglie e in mano ha i soliti fogli scritti a penna, pieni di congiunzioni astrali, algoritmi e rituali vari. Li prepara per il mister che decide la formazione della domenica in base alle sue indicazioni, spesso basandosi sul segno zodiacale di ogni calciatore: se il mago percepisce la possibilità che gli astri possano essere sfavorevoli, meglio tenere in panchina i giocatori nati sotto quel segno. Per Liedholm è un amico e un consigliere infallibile. Pare che, quando allenava il Milan, Maggi gli abbia curato un’ulcera con sole tre sedute spiritiche. Mentre il mago ci viene incontro, Ciccio Graziani mi dice: “Brù, ma è lui quello del tuo amuleto?”. Annuisco (…) appena il mago si avvicina a noi, inizia a incalzarlo. “Tu sei il famoso Mario Maggi, vero? Ascolta, smettila di dire al mister le solite cavolate su astri, rituali e quant’altro. Gli fai solo del male al cervello. Falla finita”. Subito dopo alza la mano destra e gli dà uno schiaffo dietro al collo. Noi restiamo impietriti, mentre Maggi non dice una parola e si dilegua. A quel punto mi rivolgo a Ciccio: “Non sai quello che hai fatto. Per Liedholm guai a chi lo tocca. È una specie di santità”. Qualche ora più tardi (…) il nostro dirigente ferma Graziani: “Liedholm ti vuole in camera sua”. Ciccio si fa bianco in volto, riesce solo a dirci: “Mi raccomando, se il mister vi chiede qualcosa, ditegli che era uno scherzo”. (…) All’Olimpico arriva la Fiorentina. Al rientro dal riscaldamento Liedholm controlla che non ci siano fiori nello spogliatoio. Il mago gli diceva che portassero sfortuna. (…) Ma non è l’unica fissazione del mister. Nel giubbotto rosso e arancione con cui siede in panchina, nasconde decine di amuleti, tra cui cornetti di svariate dimensioni e un pacchetto di sale che serve per un altro rito: prima del fischio d’inizio ne prende due pizzichi e li getta dietro le spalle. Serve per scacciare il malocchio.
Mario Maggi (…) era un uomo di corporatura media, sulla sessantina, con i capelli bianchi e la riga a sinistra. Indossava pantaloni grigi che sembravano di almeno una taglia più grande, abbinati a magliette con dei bottoni sotto al colletto. Sulle mani aveva diverse cicatrici che, secondo i suoi racconti, si era procurato durante la Seconda guerra mondiale. Viveva da anni a Buscate, al confine tra la provincia di Milano e quella di Varese, e a lui il mister svedese si rivolgeva ogni volta che dovevamo giocare a Torino o a Milano. Il giovedì si andava in ritiro all’Hotel Europa di Busto Arsizio e di sera ci ritrovavamo tutti a casa del mago che abitava a una decina di chilometri dall’albergo. Davanti al caminetto in pietra, Liedholm si faceva dare le indicazioni su chi far giocare la domenica, in base a strane coincidenze astrali. Un giovedì sera mancavano tre giorni alla partita contro la Juve del 10 maggio 1981, quella delle polemiche infinite per il gol annullato a Turone. Il mago si avvicinò a me con una catenina tra le mani: “So che sei entrato nel giro della Nazionale, sento che giocherai i Mondiali. Ecco, questa catenina è per te. Mi raccomando, indossala in Spagna”. Un anno dopo, fisso quell’amuleto, sperando che abbia ragione. Ma i miei pensieri vengono interrotti dal toc-toc alla porta. “Brù, dai apri!”. È Marco Tardelli, e chi sennò? Non dorme mai e vorrebbe che non dormissero neanche gli altri. Bearzot per questo lo ha ribattezzato “il coyote” e non si addormenta finché non vede Tardelli chiuso nella sua stanza. Cioè, mai. È più forte di lui, non so come faccia a stare in piedi tutto il giorno senza neppure qualche ora di sonno. Ogni sera fa il giro delle camere, tutte tranne una che è invalicabile, quella di Zoff e Scirea che tutti noi chiamiamo “Svizzera”. Lì dalle dieci non vola una mosca e guai a disturbare. Apro la porta e vedo Marco con gli occhi che trasmettono adrenalina. La stessa che ho in corpo anche io. “Brù, chi dorme stasera?! Dai, fammi entrare”. Restiamo a parlare di quello che potrà accadere contro la Polonia fino alle tre di mattina. (…) Poche ore più tardi, ecco l’esordio al Mundial ’82.