il Giornale, 22 aprile 2022
Intervista a Oscar di Montigny. Parla di Ennio Doris
C’è una frase di Ghandi che spiega tutto il senso di un’esistenza: «Sii il cambiamento che vuoi vedere nel mondo». Ennio Doris da novembre non c’è più, eppure in Banca Mediolanum è sempre presente. Vive nei valori che ha costruito dal primo giorno e lo si vede anche nelle storie di innovazione che stanno trasformando il business finanziario in qualcosa che è molto di più. Uno di questi aspetti è ciò che in Mediolanum hanno chiamato Humanovability una filosofia di vita che la banca ha messo in pratica senza esitazioni anche nei momenti difficili che ha ispirato anche la costituzione di una nuova posizione interna in cui l’innovazione sostenibile è diventata parte dello sviluppo finanziario, oltre che uno dei cinque valori fondanti. Lo stesso principio ha ispirato anche la nascita di una fintech chiamata Flowe che fa della sostenibilità innovativa il suo core business. A sintetizzare il tutto c’è Oscar di Montigny, che dopo oltre otto anni alla direzione marketing e comunicazione del Gruppo, in Banca Mediolanum oggi è Chief Innovation, Sustainability, Value Strategy Officer. Una formula piena di parole e che vuol dire soprattutto futuro.
Tutto cominciò con una banca senza sportelli quando gli sportelli erano la banca.
«All’inizio Banca Mediolanum non sortì certo l’effetto wow del mago che tira fuori il coniglio dal cilindro. Tant’è che il mito vorrebbe che allora Ennio Doris fosse guardato con ironia dai grandi dell’industria. Poi, con il passare degli anni, il reale valore di aver trasformato il consulente prima in promotore e poi in Family Banker è stato capito, e soprattutto molto apprezzato, nei momenti più critici vissuti dal sistema bancario tradizionale. E l’effetto wow, dirompente a qual punto, è stato percepito in tutta la sua forza. In altre occasioni, invece, il successo è arrivato abbastanza a ridosso dell’iniziativa».
Tipo quando la banca rimborsò tutti i suoi clienti dopo il crack della Lehman Brothers.
«Ovvio che non è stata una decisione presa in leggerezza, ma il percorso è stato breve e deciso. E qui, che effetto!: porca miseria, Doris ha rimborsato tutti mentre gli altri istituti non hanno fatto praticamente quasi nulla di nemmeno paragonabile. È stato come un gol di tacco in rovesciata: fantastico! Ma se hai uno schema di gioco e non riesci a adottarlo non solo per tutte le partite ma per tutto il campionato, alla fine però lo scudetto non lo vinci. Ennio, in questo, era un campione. E le lezioni apprese direttamente dai campioni ti nutrono per tutta la vita. Ricevere direttamente da lui quegli insegnamenti è stata una grande fortuna... non solo professionale».
Come proseguire seguendo quello schema?
«Oggi siamo una banca di sistema, e questo è il tempo dell’interpretazione dei segnali dal futuro. Guardare ad esso con occhi diversi nell’era in cui tutto si è democratizzato molto e una start up ti può fare il mazzo è sempre più complicato. L’effetto wow diventa rarissimo, e ancor meno la sua efficacia duratura nel tempo, ma in Flowe ne siamo pianamente coscienti e non verremo colti di sorpresa. Nel mondo ci sono o saranno – realtà forse più sexy di quanto siamo noi ora, ma il nostro compito adesso è quello di consolidare e rilanciare, consolidare e rilanciare, consolidare e...».
Parliamo allora di Flowe: come ci si è arrivati?
«Come spesso capita in storie del genere: con un fallimento. In realtà non era ancora Flowe. Avevamo il mandato di produrre un’idea disruptive, che nel mondo digitale vuol dire qualcosa fuori dai parametri consolidati. Al tempo l’azienda mi aveva permesso di costituire e guidare una funzione Innovazione che avesse la dignità di una Direzione organizzativa: ci mettemmo al lavoro con i delegati delle altre Direzioni del gruppo, una quindicina di persone. Arrivammo all’incontro decisivo con Ennio e Massimo Doris e il Direttore Generale sicuri di noi, tutti d’accordo».
E a quel punto?
«Una volta sentii dire da Silvio Berlusconi che se uno ha un’idea e tutti sono d’accordo, allora probabilmente non è una buona idea. Forse non è vero che tutti debbano essere contrari, ma di sicuro è più probabile che le buone idee incontrino il dissenso dei più. Insomma: presentammo il lavoro di circa sei mesi. Finisco di parlare e Doris mi punta il suo dito indice dicendo: Non ti pago per distruggere quello che ho creato. Diciamo che quel primo riscontro non è stato uno dei momenti più felici della mia carriera professionale, ma certamente uno dei più ricchi e densi di insegnamento».
Come mai?
«Rimettere in gioco l’idea consolidata alla base di un’azienda o il suo modello di business originario è il processo meno naturale che possa attivarsi in qualsiasi organizzazione, altrimenti AirBnB sarebbe nata in Hilton, Amazon dentro una grande catena retail, Uber l’avrebbe inventata una cooperativa di taxi. Tuttavia, quando subito dopo aver congedato i miei colleghi dalla stanza restai da solo con Ennio, Massimo Doris e il Direttore Generale, rilanciai e approfittai di una grande qualità di Doris: la sua totale apertura a concederti sempre una seconda possibilità. Quell’episodio mi ha fatto capire molte cose del lavoro ma anche della vita. Lavorando sulla scorta di quella seconda occasione dopo pochi mesi siamo arrivati a Flowe».
Doris la volta dopo disse subito di sì?
«Sei mesi di studio e analisi. Sei incontri mensili con Massimo Doris. Un incontro finale anche con Ennio Doris. Il dito era sempre puntato, ma stavolta ci disse: Lo voglio subito!».
Cos’ha di diverso questa idea?
«Mettere l’uomo al centro. Sembra un discorso facile, ma questi tempi dimostrano quanto sia difficile far coincidere le dichiarazioni di intenti coi fatti. Diventando un utente di Flowe (noi li chiamiamo Flome) non sei solo un cliente ma partecipi a un progetto, aderisci a dei valori, vieni educato all’importanza di produrre un impatto e orientato a farlo concretamente, e soprattutto hai la possibilità di decidere di investire e far investire in qualcosa di positivo per il pianeta e la società, oltre che per te. Tutto in Flowe è ragionato per mettere l’essere umano al centro. Con il denaro che diventa il mezzo e non più lo scopo».
Un’idea di innovazione all’interno di un Gruppo in cui resterà per sempre l’impronta del fondatore.
«È qualcosa di cui essere orgogliosi che non potrà mai cambiare. Poi succederà certamente di essere contaminati dalle novità portate da nuovi scenari: modelli di business, prodotti, servizi, linguaggi, comunità. Ma non siamo preoccupati perché Massimo e Sara Doris, pur nella complessità di dover ereditare una leadership ingombrante, hanno già dimostrato da tempo le loro capacità nel business come nelle attività filantropiche; forti di quell’imprinting così ben definito. E così sarà anche per le generazioni successive».
E poi c’è ancora lui, anche con la voce in quegli spot che l’hanno reso famoso.
«Sì, è bello. In un mondo che deve andare costantemente a caccia di un testimonial o di un influencer, il nostro vantaggio è stato quello di avere questo patrimonio già in casa. Anche in questo Ennio ha anticipato tutti. C’è un’idea fondante che cerco di mettere alla base della mia esistenza e della mia professione: Fai della tua vita un dono e fai di questo dono qualcosa di significativo per l’insieme. Io ci sto ancora tentando, Ennio c’è riuscito da tempo, meritandosi l’eternità».