la Repubblica, 22 aprile 2022
Intervista ad Asia Argento
Asia Argento è giudice con Carlo Verdone e Gianna Nannini, del nuovo talent The band, condotto da Carlo Conti che debutta stasera su Rai 1. Si sfidano in gara sedici gruppi di musicisti non professionisti, preparati dai tutor (Giusy Ferreri, Irene Grandi, Dolcenera, Federico Zampaglione, Marco Masini, Francesco Sarcina, Rocco Tanica, Enrico Nigiotti). La ragazza selvaggia e sensibile, 46 anni, sembra aver ritrovato la serenità.
Ha lavorato su se stessa, è felice di questa esperienza in tv.
Com’è andata?
«Mi ha chiamato l’autrice Ivana Sabatini spiegandomi che stavano preparando una nuova trasmissione, mi è sembrato fighissimo. Mi ha fatto il nome di Conti, Verdone, Nannini, giuria pazzesca. Mi sono sentita sollevata dal fatto che non saremmo stati noi i tutor di questi ragazzi, mi metteva in una posizione privilegiata poter godere della musica senza fare giochi di strategia. Ho accettato subito».
Ritrova Verdone in giuria, con cui nel 1994 ha girato “Perdiamoci di vista”.
«È stato un grande maestro.
Abbiamo girato il film 28 anni fa, ma sembra ieri. Era una storia così delicata, elegante e profonda. Sul set si porta grande responsabilità e la sentiamo anche nei confronti dei ragazzi. Le nostre parole sono importanti però è anche un contesto molto divertente».
Verdone è un grande esperto di musica.
«Carlo ai tempi condivideva con me i suoi gusti musicali raffinati, mi fece conoscere molti artisti, è bello sentire le sue opinioni e anche il rapporto con Gianna è splendido, c’eravamo incrociate al concerto del Primo maggio. Sono sua fan, è una persona fantastica, piena di vita, adoro la sua onestà la sua schiettezza, mi fa ridere ed è anche dura quando c’è bisogno. Non ha paura di dire la sua. Conti è una persona di grande umanità, anche nel rapporto con il pubblico. Non è in un modo davanti alla telecamera e poi cambia dietro le quinte. Ce ne sono pochi che, dopo tanti anni, rimangono puri e entusiasti».
Nel 2018 c’è stata l’esperienza a metà di “X Factor”: giurata poi allontanata, per il caso Jimmy Bennett. Manuel Agnelli la difese, Mara Maionchi disse che era bravissima come giudice. Sono passati gli anni: come ripensa a quel momento?
«Non ci penso. Avevo già fatto pace con quello che è successo, nel buddismo bisogna accettare le cose che non si possono cambiare.
Anche quando non si capiscono.
Non vivo questa nuova esperienza come un riscatto o una rivincita. Si vede che si era scatenato un momento di negatività. C’è gente che parla di iella, malocchio, sono convinta che in alcuni momenti le cose negative ce le attraiamo.
Dimostriamo chi siamo da come sopportiamo queste prove».
La musica nella sua vita ha un ruolo importante: è sempre fan di
Bob Dylan?
«È rimasto il mio idolo, ho il suo nome tatuato: me lo ha fatto conoscere mamma e ho ereditato da lei tutti i libri. Più che dylaniana sono dylaniata da questo maestro immenso. Non so quante volte l’ho visto in concerto, ma è un eroe che non vorrei mai conoscere. Ho una mia teoria: sempre meglio tenere a distanza i nostri idoli, se poi li conosci magari ti deludono. Mi basta vederlo, mi riempie la sua arte non voglio entrare un secondo nella sua vita. Invece avrei voluto parlare con Kurt Cobain».
Racconti.
«Venne per la trasmissione Tunnel nel 1994, prima del primo tentativo di suicidio. Ero negli studi della Dear, fumavo nel corridoio, allora si poteva. Si sedette accanto a me. Mi sono fatta un film: c’è Cobain e sono l’unica persona che non gli rompe le scatole? Lo faccio sentire un essere umano o forse è venuto da me perché vuole chiacchierare? Fumai una sigaretta accanto a lui. Fine.
Poi ho avuto i rimorsi, forse avrei dovuto dirgli qualcosa o aveva bisogno solo di questo, di cinque minuti di pace».
Tutti sono alla ricerca dei nuovi Måneskin. Le piacciono?
«Il rock non è mai morto, i Måneskin hanno preso varie influenze, non è la musica che ascolto ma sono fiera di loro. Non sono come quelli che dicono: non hanno inventato niente.
Hanno riletto il rock a modo loro.
Sono giovani, hanno personalità forti e hanno svecchiato la musica».
È una combattente, nella sua autobiografia “Anatomia di un cuore selvaggio”, racconta dolori e momenti bui. È stato liberatorio scrivere?
«Ha aiutato me e altre persone, che non necessariamente hanno vissuto gli stessi traumi, a prendere coraggio. Tentiamo di sotterrare certi dolori perché ci vergogniamo, invece bisogna venire a patti col passato».
Mai pentita di quello che ha fatto?
«Mai. Arriva un momento in cui è necessario iniziare un cammino con se stessi, prendersi per mano per cambiare il proprio karma.
Bisogna fare una rivoluzione. Ho vissuto tanti anni in un vortice negativo, forse l’ho attratto perché c’erano cose irrisolte della mia infanzia. Fino a quando non sono stata capace di affrontarle si sono sommate al resto».
Ha lavorato su stessa?
«Se tocchi il fondo, poi puoi solo risalire, tutto è culminato con la malattia e la morte di mia madre. Mi sono successe cose brutte, l’eco mediatica era negativa, mi chiedevo: perché tutto a me? Ho capito che finché non cambiavo io non sarebbe cambiata la percezione di me. Ho avuto anche una depressione grave».
I suoi figli Nicola e Anna Lou sono stati un punto fermo.
«Mi rimandano la loro anima brillante e profonda, sono onesti.
Con la loro esistenza mi dicono che sono sulla buona strada. Nella vita si può ricominciare ogni giorno».