la Repubblica, 22 aprile 2022
Intervista a Wim Wenders
Si chiama L’atto di vedere perchénella maggiorpartedei testiche raccoglie (interventi, relazioni, soprattutto interviste),WimWenderssiconcentra sulsensodellavisione,equindidel filmare.Pubblicatanel1992, questa preziosasillogetornaorainunanuova edizioneperMeltemi(conprefazione diChiaraSimonigh,elatraduzionedi RobertoMenininteramenterivista).Il registahaaccettatodiaccompagnare illibroconcedendounasola intervista,realizzataadistanzafra un progettoe l’altro:eccola.
L’atto di vedere raccoglie vari suoi testi e interviste risalenti al periodo 1982-1992. Quanto è cambiato Wim Wenders da allora?
«Nonsitrattadiquantoiosia cambiatomanoi,lanostraciviltà,la nostracultura.Questitesti appartengonoallaloroepoca,esi possonoleggerenonsoloperilloro contenutomaanchecomecommenti sullorotempo.Comeimieifilm».
Molte sue riflessioni di allora riguardavano l’essenza dell’immagine: come giudica adesso il passaggio dalla pellicola al digitale?
«Èunavecchiadiscussione.Hofattoi mieiultimifilmanalogicimolto tempofa.Hopreferitoabbracciareil digitalepiuttostochecombatterloo condannarlo:perchécombattere l’inevitabile?Hopensatochedell’era analogicafossemegliotenereciòche fosseutileeancoraapplicabileal digitale,escoprireciòchedinuovoun registapuòfareconildigitale.Cheè tanto.Prendail3D.Da Pina del2011e ancheprima,da Il volo, hofattoin tuttodiecifilm, cortielunghi,in formatotridimensionale:hacambiato ilmiomododifilmareelofaancora.
Anchese,fraparentesi,quella tecnologiaèstatarovinata dall’industria.Èunodeigrandi scandalidellastoriadelcinema:un linguaggiofantastico,pienodel potenzialepiùpromettenteper ripresepoeticheeimmersive,èstato gettatoaiporci.Maaldilàdel3D,il digitalearisoluzione4koanchepiù harimpiazzatodatempoquellachesi chiamava“tvadaltadefinizione”.
Ancheitimorilegatiallatecnologia digitaledegliinizisonoormai superati.Oggilaquestionesipone all’inverso:leripreseanalogiche, la suaesteticaelasuacultura,sonosolo nostalgiche,egirareancorain pellicolacomefaqualcunodeimiei colleghièunlussopuroesemplice: allafine lapellicola vienetrasferita in digitale,ea parteilnegativooriginale ilfilmnonhaalcunaapplicazione analogica.Tuttoquestofapartediuno sviluppochenonriguardasoloil cinemamalanostrainteracultura,i libri,leauto,lesalecinematografiche, lamusica...Eandremosemprepiù avantinell’era digitale».
Ricevendo nel 1991 il Premio Murnau, affermava: «Il video non è più il diavolo; nella futura immagine elettronica realizzata con metodo digitale si intravvede anche un possibile nuovo alleato». Cosa ne pensa oggi?
«Cheavevoragione.Manoncivoleva molto,enonerocertol’unicoa pensarlacosì.Peròiohocominciato moltoprestoarifletteresuquesto cambiamentoculturale,e Finoalla finedel mondo, realizzatonell’annoda leicitato,esploravagiàlanostra culturadigitale,eprevedevamolti fenomenicheoggisonolanostra quotidianità».
Ma l’immagine è diventata più vera o più falsa? Come dice nel libro, «l’alta definizione non verrà in fondo giudicata per i suoi miglioramenti d’ordine tecnologico – la tecnologia si evolve continuamente – ma per un progresso valutabile in termini morali».
«Interminimoralicredochenon stiamoandandoavanti,alcontrario.Il declinodelconcettodiverità,per esempio,èilrisultatodeisocialmedia, dellefakenewsedellamanipolabilità complessivadell’informazione digitale.Equestoperinostristandard moralièuncolpoculturaleenorme».
All’epoca dello Stato delle cose aveva una certa diffidenza a raccontare storie, preferendo lasciare che l’immagine vivesse la propria verità, dopodiché si è aperto alle possibilità della finzione. È corretto dire che in seguito il suo lavoro si è evoluto sempre di più verso il documentario, quindi di nuovo contro le storie?
«Oggisonoorientatodecisamente versoildocumentario.Imieifilmsono semprestatiunmistodientrambi,e purestoriedifinzionecome Il cielo sopraBerlino avevanoelementi documentaristiciradicali.Girarele scenediunfilminordinecronologico èunapproccioinnanzitutto documentaristico.Lamiatendenzaal documentariohaancheuna motivazionediversa:èdiventatoquasi impossibile(ancheperuncineasta affermatocomeme)tenereapertele storieochiederefinanziamentiper filmchenonsianominuziosamente sceneggiati.Maamoquelmetodo,ho fattocosìimieiprimifilm.Ebbene, questononsipuòpiùfare,tranneche peridocumentari:nessunosiaspetta chescrivauncopionecompletoper undocumentario—anchesevedoche cisistaarrivando.Comunquemi piacerebberaccontaredinuovouna storia.Peròallemieregole:uncopione senzafinalescritto,eripreseingran partecronologiche».
Lavorerebbe per piattaforme come Netflix?
«Nonancora.Ilmiounicoproblema riguardaidiritti. Ingenere iservizidi streamingpossiedonotuttiidirittisui filmprodotti,mentreioposseggoi dirittidi tutti,o quasi,imiei film.O meglio:lihalaWimWenders Foundation,indipendentementeda me,cheseneprendecura“per sempre”,com’ènaturadiogni fondazione.Odiol’ideadiprodurre qualcosachepoisparisceinun magazzino.Ifilmmeritanodiavere unavitapropria».
All’epoca delle interviste del libro, lei divenne improvvisamente famoso in Italia. Che rapporto aveva allora con il nostro paese?
«Nellamiglioretradizionedei romanticitedeschi,hosempreamato l’Italia.Ancheoggi.A stareanchesolo diecigiorniaVeneziamiparedi essereinparadiso.Bè,unpochino ancheall’inferno(ilriferimentoèalle presentazionideisuoifilmallaMostra delCinema,nonsempreindolori, ndr )».
Cosa pensa della guerra in Ucraina?
«Nonavreimaipensatocheilgenere umanoavrebbefattotantipassi indietronellastoriaeritornasseal tipo diguerrainiziatadaHitlerinPolonia nel1939.Ilnazionalismoèunadelle dimensionipeggioriepiùprimitive dellamenteumana».
La sua frase «il rock mi ha salvato» è diventata proverbiale. Cosa ascolta oggi?
«Sarebbepiùsemplicedirlecosanon ascolto.Sonosempreaffezionatoal rock,maascoltoancheclassica,jazz, blues,musicalatinaeultimamente soprattuttoafricana.Esonosempre fedeleatuttiimieivecchieroi,da DylanaFabrizioDeAndrèpiùtutto quellochec’èinmezzo».
Ha mai pensato di organizzare una mostra dei suoi quadri giovanili, come ha fatto con le sue fotografie?
«Lamiafondazionestaraccogliendo tuttoilmiolavorocomeregista, fotografo,scrittoreeanchepittore, e stafacendodelsuomeglioper renderlodisponibilealpubblico, almenoindigitale.Maho abbandonatolamiacarrieradipittore quandomisonosedutoavederefilm allaCinémathèqueFrançais,eperciò nonhomaipensatodimostrareun lavoroconclusoa22anni».
A cosa sta lavorando?
«HoappenafinitoperPalazzoGrassi un’installazionedimezz’orain3D sull’artistafranceseClaudineDrai,che saràpresentatafrapochigiornia Venezia.Estolavorandoadue lungometraggiin3D,unosuun architetto,l’altro ancoraunpo’ segreto».
Nel libro parlava di «un progetto che ho in mente da tanto tempo, girare un film solo con bambini, che avrà una narrazione molto più semplice degli altri film». Lo realizzerà mai?
«Speropropriodisì.Èunsognoche nonhodimenticato».