la Repubblica, 22 aprile 2022
Capire Vladimir
Il 21 febbraio 2022, poco dopo che Macron ha ottenuto dal presidente russo la disponibilità a partecipare a un summit con Joe Biden, Vladimir Putin convoca il proprio Consiglio di sicurezza, l’organismo dove siedono i suoi fedelissimi. Parla del Donbass dove le due repubbliche autoproclamate di Donetsk e Lugansk, in mano ai filorussi, sono attaccate, dice, dal potere di Kiev. Vuole decidere, spiega, come la Russia debba rispondere alla richiesta di riconoscimento delle due repubbliche.
Chiama alla tribuna i vari esponenti per dare un loro parere. Comincia il ministro degli Esteri Sergej Lavrov, che racconta degli incontri con i colleghi occidentali e conclude che l’Occidente respinge le richieste legittime della Russia.
Parla il direttore dell’Fsb, il servizio segreto: la situazione nel Donbass sta peggiorando. Putin chiede: si devono riconoscere le due repubbliche dal momento che il ricatto dell’Occidente è divenuto palese? Parla Medvedev. Putin lo rimanda a sedere con un gesto della mano e specifica: non ho chiesto il vostro parere in anticipo. Vuole solo sapere se il suo primo cerchio aderisce alle iniziative che sta per prendere. La risposta che gli viene data non è entusiasta, ma neppure negativa. L’ultimo a parlare è Michail Mišustin, a capo dell’intelligence internazionale. È agitato, farfuglia.
«Vuole avviare un iter di trattative?», gli domanda Putin. La risposta non arriva, fino a che l’uomo non ripete la frase che gli ha suggerito Putin. «Grazie, torni pure a sedere». Questa scena dal sapore shakespeariano è raccontata da Michel Eltchaninoff, giornalista e saggista parigino di famiglia russa, nel volume Nella testa di Putin (e/o) e mostra come il leader russo eserciti il suo potere in maniera solitaria e crudele. Una situazione che richiama alla memoria le riunioni convocate da Stalin al Cremlino negli anni Trenta e Quaranta del Novecento, che spesso si concludevano con effetti tragici su chi vi partecipava. Eltchaninoff, studioso di filosofia russa, ricostruisce nel libro – contributo interessante insieme ad altri libri apparsi di recente in italiano (Elena Kostioukovitch, Nella mente di Putin,
La nave di Teseo; Mara Morini, La Russia di Putin, il Mulino; Giorgio Dell’Arti, Le guerre di Putin, in libreria con La nave di Teseo, in edicola con Repubblica ) – le basi filosofiche di Putin. A partire dalla sua svolta conservatrice nel 2013, si è andata infatti consolidando una “dottrina Putin”. Il leader russo ha un progetto per l’Europa e per il mondo ed è convinto di non essere molto lontano dal realizzarlo. Due gli elementi principali: “il mondo russo” e la leadership del movimento conservatore presente nel continente europeo. L’Europa è al declino economico e morale, come dimostrerebbero il dilagare della pornografia, i matrimoni omosessuali, l’ateismo, il cosmopolitismo e persino l’uso di Internet. La Russia ha vinto la Grande guerra patriottica contro la Germania, ma ora è messa in un angolo, umiliata dalle potenze occidentali, Stati Uniti in primis. Questi libri, seppur in modo diverso, ci fanno capire che Putin non ragiona in termini di utilità, considerando gli effetti delle sue azioni sulla popolazione del suo Paese; la stessa aggressione dell’Ucraina fa ritenere che si tratti di una decisione estrema e contraria agli interessi russi. Il termine da usare in questo caso è “paranoia”. Putin è affetto da paranoia?
A capirlo ci aiuta un libro di Luigi Zoja, psicoanalista junghiano, pubblicato undici anni fa, Paranoia. La follia che fa storia (Bollati Boringhieri). “Paranoia” è una parola d’origine greca. Significa “pensiero che va al di là”. Gli psichiatri tedeschi dell’Ottocento la introdussero nel discorso moderno. Si tratta di una malattia mentale caratterizzata da deliri sistematici di persecuzione e di grandezza, in assenza di altri disturbi della personalità. Zoja sottolinea come non si opponga alla ragione, ma finga di collaborare con essa. Non è riconducibile a fattori organici, e chi ne soffre è di fatto un essere fragile che «sposta nel tempo un problema vitale che non riesce ad affrontare». Ora la paranoia è presente in ciascuno di noi, in forme e dosi differenti ovviamente, e spesso è l’ambiente che di accenderla. Anche nel caso di notori paranoici del passato, Adolf Hitler e Stalin, vale la frase di Primo Levi: «I mostri esistono ma sono troppi pochi per essere veramente pericolosi, sono più pericolosi gli uomini comuni». Putin non è un mostro, bensì un uomo comune che ha raggiunto con abilità un potere immenso eliminando avversari, dominando l’opinione pubblica attraverso i media e facendo leva sul risentimento diffuso dopo la fine dell’Urss. Dal ritratto che ne danno i vari autori si evince che la teoria imperiale che ha elaborato e che l’ha spinto a scatenare la guerra contro l’Ucraina, nasce da una radicata teoria del complotto con cui la sua stessa sofferenza sembra ritrovare un senso fino a compensare due debolezze: la solitudine, causa della sospettosità, e il senso di pochezza personale che si rovescia nel suo contrario: un complesso di superiorità.
Nelle dinamiche del paranoico, convinto di essere una vittima, si scatena una replica esagerata per la persuasione che il torto subito sia l’inizio di una persecuzione. Così l’attacco preventivo è il modo per instaurare una sorta di giustizia anticipata. Questo si coniuga con due altri aspetti messi in luce da Zoja: la pazienza nell’attendere l’occasione propizia per attaccare il nemico, e anche il suo opposto: l’impazienza a volte esagerata. Il tempo è il vero avversario del paranoico. La lettura del volume di Zoja, che parte dal mondo greco, esamina poi il caso dell’America, lo scatenarsi della Prima guerra mondiale, le vicende di Hitler e Stalin, fa molto riflettere sulla situazione attuale. In particolare il capitolo dedicato a Stalin contiene considerazioni che sembrano imparentare tra loro i due leader russi, peraltro così diversi per aspetto e mentalità. Quando Stalin morì, nei suoi cassetti furono trovate varie lettere di suoi ex compagni di lotta, tra cui l’ultimo messaggio di Bucharin prima di essere giustiziato: «Koba, perché hai bisogno che io muoia?». Koba era il soprannome di Stalin da rivoluzionario. La risposta alla domanda la trovò Robert Conquest, studioso del terrore staliniano, che durante un colloquio con un dissidente ungherese scappato a Londra si sentì dire: «E perché no?». Perché Putin ha invaso l’Ucraina scatenando una feroce guerra dagli esisti incerti? La risposta è la stessa: «Perché no?».