Corriere della Sera, 21 aprile 2022
Spatuzzza vuole tornare in libertà
ROMA Dopo venticinque anni di reclusione, il killer pentito che ha riscritto la storia delle stragi di mafia e smascherato i depistaggi sull’omicidio di Paolo Borsellino, chiede di tornare in libertà. Per adesso i giudici gli hanno detto di no, nonostante tutti i suoi «colleghi» – da Giovanni Brusca in giù, responsabili di crimini efferati quanto i suoi – abbiano chiuso da tempo i conti con la giustizia. Gaspare Spatuzza invece resta detenuto. Lui che nel 2008 decise di collaborare con i magistrati (a 11 anni dall’arresto avvenuto nel 1997), secondo il Tribunale di sorveglianza di Roma non ha ancora terminato il «percorso di rieducazione», che anzi deve «consolidarsi», nonostante le Procure e le corti che l’hanno ascoltato in decine di indagini e processi abbiano garantito sulla sua attendibilità e sull’importanza del suo contributo.
L’ex mafioso però insiste, e oggi in Corte di cassazione è fissata l’udienza sul ricorso contro l’ultimo diniego. Che potrà essere confermato o annullato.
Dal punto di vista giuridico il problema è che Spatuzza, a differenza di Brusca e di molti altri pentiti famosi, ha cominciato a collaborare dopo che le prime condanne all’ergastolo erano già definitive. Quando ha confessato le stragi di Capaci e di via D’Amelio del 1992, senza che prima ne fosse accusato, era stato dichiarato colpevole per le bombe esplose in continente nel 1993 e per l’omicidio di padre Puglisi. Gli sconti di pena per l’uccisione di Giovanni Falcone, Francesca Morvillo, Paolo Borsellino e gli agenti di scorta sono arrivate quando sulla sua testa pendeva il «fine pena mai». L’unica strada per uscire dalla detenzione domiciliare che sta scontando in una località segreta, è la liberazione condizionale, che gli ergastolani possono avere dopo ventisei anni di reclusione. E Spatuzza, calcolando la liberazione anticipata che si applica a tutti i detenuti, è già a trenta.
La legge richiede «un comportamento tale da far ritenere sicuro il ravvedimento», e i giudici di sorveglianza hanno stabilito che per un assassino macchiatosi di così gravi delitti ci voglia «un esame particolarmente approfondito e attento», che certifichi «un effettivo e irreversibile cambiamento». Da dimostrarsi attraverso la «condanna totale del proprio passato criminoso» e «comportamenti coerenti» per «lenire le conseguenze materiali e morali delle condotte delittuose». Spa-tuzza è sulla buona strada, ha concluso il Tribunale, ma deve «completare e consolidare il positivo percorso intrapreso».
La sentenza
I giudici di sorveglianza: «Ancora da completare
il positivo percorso intrapreso»
Un verdetto «contraddittorio» e frutto di «preconcetti», ribatte l’avvocata Valeria Maffei nel suo ricorso: il suo assistito pratica «riparazione e solidarietà sociale da ancor prima di collaborare con la giustizia, chiede scusa alle vittime, svolge attività di volontariato, proclama la necessità di collaborare e invita a farlo tutti i soggetti mafiosi con cui è stato posto a confronto». Certo, è responsabile di delitti feroci (tra cui il sequestro e l’omicidio del bambino Giuseppe Di Matteo, figlio del pentito Santino, confessato dopo il pentimento con relativo sconto di pena) ma – sostiene l’avvocata – «è proprio dalla gravità dei reati che deriva la eccezionalità e notorietà (mondiale) della collaborazione, anche perché inizialmente ostacolata da varie fasce politiche; e nonostante le polemiche, la bagarre politica, le minacce velate, Spatuzza non ha mai revocato la decisione di collaborare a tutto campo, rivelando notizie, ribaltando sentenze, inimicandosi buona parte degli esponenti politici di allora».
Con le sue dichiarazioni l’ex boss di Brancaccio ha (tra l’altro) scagionato i sette ergastolani innocenti per la strage di via D’Amelio, scarcerati dopo lunghissime detenzioni, e riaperto le indagini sui nuovi accordi tra mafia e politica siglati dai suoi capi, i fratelli Graviano, alla fine del 1993. Ha chiamato in causa il neonato (all’epoca) partito di Berlusconi, con dichiarazioni considerate a volte non sufficientemente riscontrate; tuttavia le indagini sulle stragi del ’93 sono ancora in corso anche sulla base della sua collaborazione. E a Caltanissetta sono sotto processo i poliziotti accusati di aver estorto le bugie ai falsi pentiti sconfessati da Spatuzza.
Tutto questo, secondo l’avvocata, non sarebbe stato valutato in maniera adeguata dai giudici di sorveglianza, come il «percorso religioso e di studi intrapreso» in carcere. E anche alla luce della riforma dell’ergastolo ostativo richiesto dalla Corte costituzionale, per Spatuzza «è evidente il raggiungimento della prova del completamento del percorso trattamentale di rieducazione e di recupero».
Proprio per il contributo offerto dal pentito, la Procura di Caltanissetta e la Direzione nazionale antimafia si sono dette favorevoli alla concessione della liberazione condizionale, ed è possibile che in Cassazione la Procura generale faccia altrettanto.