Corriere della Sera, 21 aprile 2022
Le parate di Putin
La Z diventerà il simbolo ufficiale della nuova Russia il prossimo 9 maggio, quando otto aerei da guerra Mig-29 voleranno sui cieli di Mosca in una formazione che riprodurrà quella lettera. Non si parla di pace, non si parla dei morti, e neppure dell’economia reale che comincia a dare segni di profonda sofferenza, sui media ufficiali. L’argomento che tiene banco è la grande parata per la Festa della Vittoria, la più importante di tutte, ancora di più negli ultimi vent’anni, perché Vladimir Putin ha voluto trasformare quel giorno in una celebrazione del patriottismo come idea fondante del Paese.
La grande parata sarà nella capitale. Ma anche nelle altre città, dopo due anni di assenza dovuta al Covid, sfilerà il Reggimento Immortale, una iniziativa che nacque spontanea da parte dei Comitati dei reduci di guerra e dei militari in congedo, ma che Putin ha fatto sua. I familiari dei combattenti contro il nazifascismo, quello vero, sfileranno nelle strade dei principali capoluoghi. E lo faranno anche a Mariupol, «senza alcun dubbio», secondo quanto annunciato ieri dalla vicesindaca nominata dai russi, Viktoria Kalachova, secondo la quale la popolazione locale non vede l’ora di fare festa e «aspetta questo evento con trepidazione».
Se questa notizia dovesse trovare una conferma ufficiale, sarebbe la prova della necessità impellente del Cremlino di esibire almeno una vittoria parziale durante la giornata che celebra tutte le vittorie della storia recente russa. In un mondo meno virtuale, tengono banco invece i problemi dell’economia russa, che comincia a sentire in modo evidente gli effetti delle sanzioni occidentali.
Ieri un’inchiesta di Bloomberg ha confermato quel che già si sapeva da settimane. Al Cremlino, alcuni alti funzionari della ristretta cerchia presidenziale, convinti del fatto che l’invasione dell’Ucraina è stata «un errore catastrofico», hanno tentato di persuadere Putin a trovare una via d’uscita, facendo leva sul timore che il Paese possa essere riportato indietro di decenni, in termini di risorse e benessere e lamentando il rischio dell’altissimo costo che verrà pagato in termini economici e politici. Ma non hanno trovato alcuna sponda, e anche qui nulla di nuovo sotto il sole.
La conferma delle convinzioni del Cremlino è arrivata a stretto giro di posta. Ieri mattina, Putin ha parlato all’assemblea dell’Organizzazione governativa «Russia, terra di opportunità». Come ormai fa sempre, ha esordito parlando delle ragioni della sua scelta e delimitando gli obiettivi dell’operazione militare speciale. «Il nostro unico scopo è aiutare la nostra gente che vive nel Donbass. Noi opereremo con coscienza, e otterremo la normalizzazione della vita nel Donbass». Ma la parte più importante del discorso riguardava questa volta la sua ricetta economica, che può essere riassunta con una sola parola, autarchia. Magari con l’aiuto dell’amica Cina.
Il presidente ha detto di augurarsi che la nicchia di mercato che si è liberata dopo l’abbandono delle marche straniere di abbigliamento venga riempita dagli stilisti russi. «Se qualcuno se ne va dal nostro mercato ovviamente, come si dice, il luogo sacro non è mai deserto. Vorrei tanto che i nostri produttori occupassero questo posto». Lo stesso vale per il settore dell’alimentazione, dove ben presto le società straniere verranno sostituite dai ristoratori russi, «e questo porterà ad un aumento della qualità di servizio dei nostri cittadini». La piccola e media impresa secondo Putin dovrebbe puntare alla realizzazione di progetti congiunti russo-cinesi. «Perché Pechino è il nostro maggiore partner commerciale con un interscambio che supera i 100 miliardi di dollari».
In serata il presidente ha tenuto una riunione in videoconferenza sulla metallurgia, un settore importantissimo dell’export russo, dove si è lamentato delle «sanzioni illegittime», che però «incideranno negativamente sulle economie europee», mentre la Russia se la caverà riorientando le esportazioni verso «i più dinamici» mercati orientali. Oltre ai ministri economici e alla governatrice della Banca centrale Elvira Nabiullina, partecipavano non precisati «rappresentanti del settore», mai nominati durante i servizi dei telegiornali. Mancavano infatti i personaggi chiave dell’industria, come ad esempio gli oligarchi Aleksej Mordashov, Aliser Usmanov e Viktor Vekselberg. Tutti colpiti dalle sanzioni. Quindi, meglio non farli vedere.