Corriere della Sera, 21 aprile 2022
Stile Zelensky
Studia le parole e misura le pausa. Emotività, efficacia, mimica.
L’evoluzione di Volodymyr Zelensky è sotto gli occhi di tutti. Da comico a politico, da politico a presidente e da presidente a combattente. Sempre più guerriero. E non c’entra il verde militare delle sue perenni magliette o dei giacconi con lo stemma delle Forze Armate. Sono i suoi discorsi, il suo comportamento, le sue apparizioni in pubblico, i suoi contatti con i leader di tutto il mondo: ogni sua mossa ha sempre più a che vedere con le battaglie sul campo, con la resistenza di chi combatte in prima linea e, soprattutto, con la richiesta incessante di armi, armi, armi.
Non è uomo che perde di vista la chiarezza, il presidente Zelensky. E sa esattamente dove piazzare una metafora. Prendi la recente intervista ad Atlantic, per esempio. «Quando alcuni leader mi chiedono di quali armi ho bisogno – ha spiegato ad Anne Applebaum e Jeffrey Goldberg – mi serve un momento per calmarmi, perché gliel’ho già detto la settimana prima. È come Ricomincio da capo. Mi sento Bill Murray».
Si sente Bill Murray. Cioè l’attore di quel Groundhog Day (Il giorno della marmotta) che in Italia arrivò con il titolo di Ricomincio da capo. Nella commedia il protagonista è un meteorologo che il 2 febbraio se ne va in Pennsylvania a festeggiare la ricorrenza del Groundhog Day, appunto, e – per farla breve – si ritrova intrappolato in una dimensione temporale: ogni santo giorno uguale a quello precedente. Ecco. Volodymyr Zelensky dice che ogni santo giorno passa ore al telefono, oppure su Zoom, su Skype, a rispondere alle domande di presidenti e primi ministri. Epperò il nodo non si scioglie mai e lui ha sempre bisogno di quelle armi già chieste il giorno prima e il giorno prima ancora...
Anche quando prova a rimettere sul tavolo il tema della diplomazia Zelensky non perde mai di vista il rovescio della medaglia: armarsi di più. Se non altro come opzione B. È il senso delle sue parole di ieri, nel corso della conferenza stampa con il presidente del Consiglio europeo Charles Michel. «A Mariupol ci sono ancora 120 mila persone», ha detto. «L’assedio si può fermare in due modi: con le armi o con la diplomazia. Per le prime ci serve l’equipaggiamento pesante che abbiamo chiesto e non ancora ottenuto. Per la seconda la Russia fa il suo gioco e non è in grado di proporre veri accordi. Mosca non è pronta a un accordo di pace».
Nell’annunciare che con il presidente Michel «abbiamo concordato di usare i soldi» dell’European Peace Facility (1 miliardo e mezzo di euro), Zelensky ha specificato che quei soldi serviranno «a ottenere esattamente le armi di cui abbiamo bisogno, non tutte quelle che ci mancano ma quelle prioritarie per noi».
Visti dall’alba di guerra numero 56 e con il Donbass in fiamme, sembrano lontanissimi gli spiragli di pace che alla 34esima giornata (e per la prima volta) lo stesso Zelensky aveva descritto come «segnali che possono essere definiti positivi». Erano in corso le trattative a Istanbul fra le delegazioni, una luce fioca illuminava la via della pace. Lui – dal suo bunker segreto nella pancia di Kiev – certamente seguiva il filo politico-diplomatico, cioè la speranza. Ma era evidente che dava più credito ai suoi uomini impegnati al fronte. E quindi: segnali positivi, sì, ma «non vedo alcun motivo per fidarsi delle parole di Mosca, meglio attendere risultati concreti».
Quasi due mesi di bombe, missili, morti e orrore fra Bucha, Borodyanka, Kharkyv, Irpin, Mariupol, hanno cambiato il volto e i modi di Volodymyr Zelensky. Il combattente che ascoltiamo nei messaggi video diffusi ogni giorno dal suo staff, non è più l’uomo che maneggiava soprattutto emozioni e memoria collettiva per comunicare con i parlamenti e istituzioni di mezzo mondo e per muovere le coscienze dell’opinione pubblica.
Nella pagina precedente c’era la caduta del muro di Berlino citata ai tedeschi, c’era Guernica ricordata agli spagnoli, l’11 Settembre chiamato in causa per gli americani, la distruzione di Genova come fosse Mariupol evocata per gli italiani... Nella pagina di oggi c’è un uomo più diretto, più pratico, più militaresco. Che recrimina, rivendica, chiede. E prova a resistere, anche con le parole.