la Repubblica, 21 aprile 2022
Intervista a Tredici Pietro, il figlio di Morandi
Un giorno, probabilmente neppure troppo lontano, di Tredici Pietro si scriverà solo per quel che vale (che è molto più del nome d’arte, che è un omaggio alla sua cerchia di amici più stretti), senza prima o poi infilare in una riga che è il più giovane dei figli di Gianni Morandi, che peraltro è quello che abbiamo appena fatto anche noi. Ma prima di parlare di suo padre, col 25enne Pietro bisogna parlare di suo figlio, ovvero il secondo album, Solito posto, soliti guai, che esce domani ed è in sostanza il suo precedente prodotto musicale, l’ep X questa notte, arricchito da tre canzoni nuove,
Come fossi andato via, Fumo pensando a te e quella che dà il titolo all’intero disco, un rap classico e avvolgente, ma anche meditabondo.
Ed è forse questa la prima sensazione ascoltando tutto di fila, Pietro, che le canzoni siano sfoghi personali, ovvero il modo per dire quel che normalmente non direbbe.
«Vero, io sono uno che si tiene tutto dentro, la musica è un modo per esprimermi, forse per non esplodere».
Un collega di suo padre, un tale Lucio Battisti, quando smise di rilasciare interviste disse “d’ora in poi la mia musica parlerà per me”.
«Davvero? Non la sapevo, grazie, mi ha fatto svoltare la giornata. Non mi accosto minimamente a lui, ma la penso così anch’io».
E perché lo fa col rap, allora?
Non è una musica da introversi.
«E infatti è proprio per quello: i rapper spesso si raccontano come infallibili, io racconto la mia fallibilità, le mie contraddizioni, già che il figlio di Gianni Morandi faccia rap lo è, e non piccola. Insomma, io dovevo fare il rapper perché sono un cazzaro, se mi perdona il francesismo».
C’è anche una questione di generazione?
«Non c’è dubbio: avevo 7 anni quando vidi in tv 50 Cent ed Eminem e fui catturato dalla loro forza comunicativa, dall’essere un suono differente da tutti gli altri. Per motivi che intuirà fino ad allora la mia visione era più legata al pop, il rap è arrivato nella mia vita con una forza dirompente».
Anche per esprimere momenti pessimi, a giudicare dalle nuove canzoni.
«Li abbiamo e li avremo tutti, io ho la fortuna di mettere tutto in musica. Come fossi andato via è un flusso di coscienza che racconta lo stato emotivo del momento in cui l’ho scritta: era difficile, avevo poca fiducia in me, avevo cambiato collaboratori, soprattutto temevo di aver perso il bambino che è in me e che invece c’è ancora. Fumo pensando a te è un pezzo su un amore perduto. Soliti posti soliti guai è un po’ il racconto del mio sradicamento da Bologna e del mio trapianto a Milano, avvenuto due anni fa».
Trapianto difficile, da una metropoli di provincia, per così dire, a una europea?
«Parecchio. Odiavo Milano nella visione sinistrorsa più classica dei bolognesi che odiano i ritmi frenetici e il business. Invece questi sono solo i racconti di chi la odia: Milano è bella, è colorata, conta assai il capitale umano, mi ritengo miglioratissimo da questo trasloco, mi ha fatto maturare umanamente e artisticamente. E mi ha fatto venire voglia di un disco fisico, dico proprio un oggetto da toccare: non disprezzo affatto il digitale, ma mi ci voleva. Come adesso ci vorrà un tour, che ad aprile toccherà Piacenza (il 29), a maggio Milano (il 28), a giugno Bologna (il 22) e Genova (il 25), ma altre date estive si aggiungeranno. Finalmente la musica riparte».
E come? Qual è lo stato dell’arte?
«Ottimo, c’è tantissimo di tutto».
Non troppo?
«Ma la musica non è mai troppa, ci sono novità come i Måneskin che spaccano nel mondo, il rap europeo sta prendendo posti che non ha mai avuto. Non so, vogliamo tornare a due canali tv, come qualche decennio fa?
Ovvio, bisogna scegliere, bisogna capire, bisogna ascoltare. Ma sempre meglio tanto che poco».
Siamo al capitolo su babbo Gianni, ci dispiace.
«A me no, è mio padre. Le domande su di lui ci stanno.
Certo, precisando che artisticamente siamo diversissimi e che anche per questo ho scelto un nome d’arte.
Tanto che sia suo figlio si sa, ma così nessuno mi fa pesare il cognome, che non sfrutto in nessun modo».
Mai avuto tentazioni?
«Zero proprio. Anzi, capii che era la scelta giusta quando Pizza e fichi, il mio debutto, fece il botto nel 2018. Non era calcolato, e a quel punto avrei potuto fare un disco facile, invece ne ho fatto uno difficile, Assurdo, mettendoci un anno».
Vi confrontate mai in famiglia sulla musica?
«In effetti no, generi troppo diversi. Mi segue, ma con discrezione. E d’altronde non voleva che i figli facessero musica, ha provato a disincentivarmi in ogni modo, ed ecco il risultato».