la Repubblica, 21 aprile 2022
Gli ufficiali nazisti che si nascosero nei film italiani
La sera del 21 dicembre 1961 al cinema Metropolitan di Roma c’è la prima del film di Dino Risi Una vita difficile. Nelle prime scene il protagonista, Alberto Sordi, veste i panni di un giornalista partigiano, Silvio Magnozzi. Dopo un rastrellamento, cui è scampato, finisce in un hotel pieno di tedeschi. Qui viene affrontato mitra alla mano da un soldato tedesco. L’azione dura poco più di un minuto ed è la premessa per raccontare la storia di Magnozzi attraverso quindici anni di storia italiana. Elena, la figlia della padrona dell’hotel, uccide con un ferro da stiro il tedesco e salva Silvio dalla fucilazione.
Il soldato ammazzato – nella vita reale, non nella finzione – non è altro che Borante Domizlaff, un ex maggiore delle Ss, il vice del tenente colonnello Herbert Kappler, il responsabile della strage di 335 italiani nelle cave di via Ardeatina il 24 marzo 1944. Cosa ci fa un nazista vero nei panni di un nazista in costume in un film italiano dell’epoca? Partendo dalla presenza di Domizlaff in questo, come in altri film, Mario Tedeschini Lalli ricostruisce in una sorta di inchiesta- giallo, l’appassionante Nazisti a Cinecittà (Nutrimenti), la storia delle Ss nei film italiani del Dopoguerra.
Tre sono i principali interpreti di questa vicenda dai mille fili ed intrecci, che si spande a macchia d’olio: Domizlaff, il suo collega Karl Hass, maggiore delle Ss, anch’egli presente alle Fosse Ardeatine, organizzatore di una rete di spie tedesche. E poi un terzo imperscrutabile personaggio: il barone Otto von Wächter. Quest’ultimo è stato governatore di Cracovia e ha creato la divisione Waffen Ss ucraina. Accusato dell’uccisione di centinaia di migliaia di ebrei, è uno dei criminali di guerra più ricercati. Morirà in modo oscuro a Roma nel Dopoguerra, come ha raccontato, nel suo libro La via di fuga. Sulle tracce di un criminale nazista (Guanda), Philippe Sands. Sullo sfondo altri personaggi come Erich Priebke, ricercato per la medesima strage, rifugiato in Argentina, e il conte Anton Bossi Fedrigotti, altoatesino di fede nazista. Intorno a loro si muovono innumerevoli personaggi più o meno minori, come il vescovo tedesco Alois Hudal, protettore di nazisti nella capitale e loro punto d’appoggio verso il Sudamerica.
La storia comincia con un mistero: l’autore di Una vita difficile è Rodolfo Sonego, uno dei più importanti sceneggiatori italiani, che era stato durante la guerra un comandante partigiano. Come poteva non sapere che a interpretare il nazista c’era il braccio destro di Kappler? La risposta non c’è. Domizlaff non figura solo in quel film. Ha avuto un ruolo anche in altri, come La ciociara di Vittorio De Sica, uscito l’anno precedente, e
La caduta degli dei (1969) di Luchino Visconti, dove recita nei panni di una Sa nazista nell’episodio legato alla notte dei lunghi coltelli. Lo troviamo nel 1960 persino in una scena di Tutti a casa di Luigi Comencini, dove è ancora una volta un milite tedesco in divisa che scopre e cerca di catturare una ebrea interpretata da Carla Gravina.
Scavando come un minatore Tedeschini Lalli ha sondato il web, ha consultato elenchi telefonici della Germania e dell’Italia, scartabellato dossier desecretati della Cia, passato in rassegna foto di scena, dato la caccia a indirizzi e viaggiato da un capo all’altro dell’Europa alla ricerca delle storie di questi personaggi, parlando, quando gli è stato possibile, con i loro eredi. Voleva capire quale fosse la rete che legava i due ex-maggiori della Ss al cinema. Ha scovato così una pellicola di Aldo Scavarda, suo unico film come regista, La linea del fiume, del 1975, opera per ragazzi, dove Karl Hass recita la parte di un generale tedesco. Anche Scavarda, come Sonego, era un ex partigiano, torturato dai nazisti.
Le storie che l’autore ci racconta sono insieme inquietanti e banali. Hass non se la passa certo bene; fugge innumerevole volte per evitare la chiamata in correo della strage. Viene protetto dai servizi segreti americani ed è sospettato di fare il doppio e triplo gioco, ma molti anni dopo sarà condannato all’ergastolo. Domizlaff, che nel 1948 è a fianco di Kappler nel processo, viene assolto perché nonostante abbia sparato alle Ardeatine, se la cava con il fatto d’aver obbedito agli ordini. Nel libro c’è anche il sottobosco fascista dei reduci di Salò, che i servizi americani usano in funzione anticomunista durante la Guerra fredda.
Le coincidenze nella vita di questi personaggi sono tantissime e spesso sconcertanti. Troviamo ad esempio il nazista scrittore conte Anton Bossi Fedrigotti partecipare alla produzione di innumerevoli film come Le quattro giornate di Napoli e Il processo di Verona.
L’autore cerca di fare i conti con un labirinto di specchi, come lo definisce, che contiene il rovesciamento tra realtà e finzione; e cerca di dipanare il gomitolo delle sue storie: inseguendo un personaggio, Waechter, trova Hass, e indagando su Hass scopre Bossi Fedrigotti, e la sua presenza in un film dove recita Domizlaff. La loro vita è quella di clandestini, o di protetti dai servizi segreti, inseguiti da mandati di cattura internazionali, oppure liberi di viaggiare come Priebke, che viene in Italia con un passaporto col proprio nome per incontrare i due ex maggiori delle Ss.
Quale è la morale che si può trarre da questo libro, che ci presenta la vita quotidiana, le parentele, i legami, le connessioni tra mondi vicini e insieme lontani? Tedeschini Lalli, dopo aver cercato di trovare un perché all’intreccio delle biografie degli ufficiali tedeschi a contatto col cinema italiano, conclude che le loro storie raccontano molto ma non spiegano quasi niente.
La verità è che c’è sempre qualcosa di casuale e di imponderabile in ogni vita umana, anche in quella di assassini seriali. Non esiste un complotto dei servizi segreti o degli ex nazisti; è il mondo ad apparire un caos in cui si cerca di trovare una coerenza tra cause ed eventi. E quando qualcuno crede di avervi trovato un qualche ordine, questo subito appare instabile e incompleto.