Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2022  aprile 21 Giovedì calendario

La guerra dentro a un monitor. Intervista a Nicole Perlroth

Si potrebbe dare tutta la colpa alla matematica: è possibile che la fine del mondo arrivi con una sequenza di numeri. Ma si dovrà ringraziare la matematica anche se non accade: perché forse saranno i numeri a salvarci dalla prossima guerra mondiale. È a colpi di codici numerici, infatti, che si combattono le guerre cibernetiche: le sfide tra hacker al servizio di uno Stato, di un’azienda o di sé stessi, per dominare il pianeta, paralizzarlo o semplicemente arricchirsi. In Così mi hanno detto che finirà il mondo, frutto di sette anni di indagini, appena pubblicato in Italia dal Saggiatore, Nicole Perlroth, giornalista del New York Times specializzata in questo campo, narra in presa diretta gli invisibili combattimenti per il controllo della nostra vita digitale, dei nostri consumi e perfino delle nostre istituzioni. Un saggio che svela come anche una guerra senza morti possa essere devastante, se combattuta dentro il buio senza fondo di uno schermo nero: a cominciare dal conflitto odierno in Ucraina.
La sua inchiesta è partita proprio dall’Ucraina, ancora prima che cominciasse l’invasione attuale: che cosa ha scoperto?
«Ho scoperto l’attacco cibernetico più grande che il mondo abbia mai visto: NotPetya, lanciato dalla Russia nel 2017 contro Kiev e poi rimbalzato come un boomerang da un capo all’altro della terra, colpendo aziende come Merck, Pfizer, Mondelez e tante altre. Già dal 2014 Mosca aveva usato l’Ucraina come laboratorio sperimentale per i suoi cyber attacchi, cercando di hackerare le elezioni presidenziali, mettendo fuori uso i ministeri, perfino mandando in tilt il sistema di monitoraggio della centrale nucleare di Cernobyl. L’Occidente deve prestare molta attenzione a quello che la Russia fa in Ucraina sul terreno cibernetico, perché il bersaglio ultimo non è Kiev: per Mosca l’Ucraina è solo un test per lanciare attacchi analoghi altrove».
E nei due mesi di questa guerra cosa ha fatto la Russia da questo punto di vista?
«Ha messo ko il satellite americano Viasat che fornisce accesso a internet a gran parte dell’Ucraina e d’Europa. Ha manomesso i computer governativi ucraini con dei virus.
Ha bloccato i bancomat rendendo impossibile ai cittadini ucraini ritirare contante. Ha inviato sms ai soldati ucraini intimando loro di arrendersi o morire. Ha creato un fake di una dichiarazione di resa del presidente ucraino Zelensky».
Però alcuni esperti si aspettavano che Mosca avrebbe provocato un blackout cibernetico totale in Ucraina: perché non è avvenuto?
«Per tre ragioni. Putin si aspettava di conquistare Kiev in due giorni e pensava che il suo governo fantoccio avrebbe avuto bisogno che le infrastrutture funzionassero. Secondo, il Cremlino temeva che attacchi cibernetici più massicci danneggiassero anche l’Europa, provocando una risposta occidentale analoga. E il terzo motivo è che ha tenuto questo arsenale cibernetico come ultima arma: fa ancora in tempo a usarla».
E l’Ucraina come si difende?
«Le forze cibernetiche ucraine collaborano con compagnie occidentali come Cloudflare e Amazon, oltre che con gli esperti governativi americani, britannici e della Ue per proteggersi dagli attacchi russi. I cyber guerrieri ucraini dicono che non smetteranno mai di combattere questa guerra. Sono i miei eroi».
Anche gruppi indipendenti come Anonymous hanno lanciato operazioni cybernetiche contro la Russia negli ultimi due mesi: con quali effetti?
«Anonymous è riuscito a penetrare la propaganda dei media russi, mostrando immagini delle attività militari di Mosca in Ucraina alla televisione di Stato.
Una attività molto importante per fare arrivare la verità sulla guerra all’opinione pubblica russa e creare così pressione su Putin».
Chi c’è dietro il gruppo Anonymous?
«Anonymous non è un gruppo: è una causa, che attira hacker di tanti paesi. Perciò si tratta di una forza decentralizzata, che agisce in modo autonomo, non controllato da nessuno, nemmeno dall’interno di Anonymous».
Nel suo libro parla anche degli hard disk trafugati da Edward Snowden alla National Security Agency (Nsa), l’agenzia di spionaggio elettronico americana: cosa c’era dentro di tanto prezioso?
«Decine di migliaia di segreti della Nsa e del Gchq, il suo equivalente britannico, che rivelano le capacità di intercettazione di queste agenzie. Ma così facendo l’ex-agente della Nsa Snowden ha rivelato anche l’identità di tanti colleghi, mettendo le loro vite in pericolo. Come giornalista, sono per il massimo possibile di trasparenza, ma le agenzie occidentali usano le proprie risorse per difendersi dai massicci attacchi cibernetici di Cina e Russia: il fatto che Snowden sia andato a rifugiarsi proprio a Mosca, da dove twitta in continuazione contro lo spionaggio americano senza dire una parola su quello russo, a mio parere gli ha fatto perdere credibilità».
Quali paesi si possono definire le superpotenze della cyberguerra?
«In campo occidentale i cosiddetti Five Eyes (Cinque occhi, ndr ), ovvero l’alleanza tra i servizi di spionaggio dei paesi di lingua inglese: Usa, Regno Unito, Canada.
Australia e Nuova Zelanda.
Un’altra grande potenza cibernetica è Israele. In campo dei regimi non democratici, Russia e Cina.
E anche l’Arabia Saudita sta crescendo in questo campo».
È vero che le grandi aziende della rivoluzione digitale pagano cacciatori di virus digitali?
«Sì e sono l’equivalente dei cacciatori di taglie nel Far West, gente che cerca di catturare i criminali cibernetici e le loro armi in cambio di una ricompensa».
E poi ci sono gli hacker che vendono segreti al miglior offerente…
«Ne ho incontrato uno in Argentina che si fa chiamare “il Padrino degli hacker”. Aveva una sola morale: vendere le sue armi a chi paga di più, chiunque fosse l’acquirente, uno Stato, un’organizzazione criminale, un terrorista».
Ma davvero, come avverte fin dal titolo il suo libro, il mondo potrebbe finire con un cyber attacco?
«Non so se finirebbe il mondo, ma le guerre del futuro saranno sempre più spesso cyberguerre. Il più grande pericolo sarebbe un attacco cibernetico coordinato su un’infrastruttura di importanza critica come una centrale nucleare. Oppure contro una diga che apre le porte e scatena uno tsunami. O su una centrale elettrica che lascia tutti al buio. Ma anche solo su un gasdotto, visto che il gas è uno dei temi della guerra in Ucraina, che farebbe alzare il prezzo dei prodotti energetici, paralizzando fabbriche e viaggi. Sono tutti scenari da incubo, ma quello che più mi preoccupa è uno stato come la Russia che pensi di non avere più niente da perdere e lanci attacchi di questo genere tutti insieme».